di Lorenzo Meloni
Ennio Morricone è morto stanotte all’età di 91 anni; come per altri anziani apparentemente inesauribili, è stata la conseguenza di una frattura al femore, probante per il fisico ma soprattutto letale per l’inattività a cui costringe. Inattivo Morricone non avrebbe mai potuto essere, come prova la carriera ridicolmente prolifica durante la quale ha segnato per decenni la musica del nostro paese a più livelli: nel cinema ovviamente, dov’era diventato – a seguito della fama mondiale acquisita nella collaborazione con Leone – tra le griffe più prestigiose dell’Italia nel mondo, richiesto da giganti del calibro di Carpenter (La Cosa), De Palma (Gli Intoccabili) e in ultimo Tarantino (The Hateful Eight); nel pop, che non amava e che tuttavia ha segnato direttamente (Sapore di sale, Se telefonando) o indirettamente (pensiamo agli arrangiamenti morriconiani di Gian Piero Reverberi nel capolavoro Tutti morimmo a stento di Fabrizio De Andrè; ma anche al regolare tributo pagatogli, fra i tanti, dai Metallica, che aprivano i loro show con L’estasi del dollaro); e ovviamente nella musica colta, che restava suo terreno d’elezione. Leggendariamente impervio nel carattere – ancora di pochi mesi fa la notizia che il maestro aveva malsopportato le estemporanee esibizioni su tetti e balconi che hanno tenuto l’Italia un po’ più allegra durante il lockdown – scrupoloso e metodico come chiunque sappia che un grande artista, nella maggior parte dei casi, è innanzitutto un grande professionista. Chi lamenta che l’Academy lo snobbò per anni (dimenticando che le sue colonne sonore più celebri, quelle per Leone, appartenevano a un genere non esattamente considerato “di buon gusto” ai tempi) e l’ingiustizia di quell’Oscar assegnato in extremis per The Hateful Eight di Tarantino, si consoli pensando che uno così di riconoscimenti non aveva il minimo bisogno: come il collega John Williams, come i Tiomkin e Hermann del passato, ci ha pensato il pubblico a ricompensarlo del suo genio, amando, ricordando e strimpellando i suoi pezzi; e forse nessuno come Morricone può dire di aver raggiunto in campo cinematografico un simile livello di fusione sinestetica fra suono e immagine: provate a canticchiare la chitarra elettrica di Man with the Harmonica e vi scorrerà davanti agli occhi l’intera sequenza del massacro alla fattoria dei McBaine in C’era una volta...il West; fate lo stesso con uno qualunque dei migliori temi morriconiani, ed oltre a sentire vedrete. Non c’è premio che possa sostituire questa capacità di imprimersi nell’inconscio, singolo e collettivo, di generazioni di spettatori. La sua statuetta Ennio ce l’ha nel Pantheon del nostro immaginario. E nessuno gliela toglierà mai.