di Luigi Ercolani
Anche i ricchi piangono, ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare l'amicizia. Amanda è il primo lungometraggio realizzato da Carolina Cavalli, che fino ad ora si era cimentata con la produzione di videoclip e la sceneggiatura seriale di prodotti quali Mi hanno sputato nel milkshake e Zero.
Ed è proprio la sceneggiatura a rappresentare un vero punto di forza di questa opera prima. La regista, in questo senso, sembra esprimere una sintesi temi di film molto diversi tra loro: da personalità vacue e stralunate come la protagonista de Il favoloso mondo di Amelie all'amicizia tra donne insoddisfatte dalla vita di Thelma e Louise, dalle atmosfere surreali di Il fascino discreto della borghesia (per giunta semicitato in un dialogo presente anche nel trailer) alla musica synth che ricorda le ambientazioni di Stranger Things,fino alle scene quasi sospese nel tempo che ricordano Wes Anderson, Carolina Cavalli disegna un quadro che anzitutto colpisce per l'eterogeneità che lo contraddistingue.
Questa capacità di variare, di non rimanere monocorde e di sorprendere chi guarda è sicuramente una leva efficace nel mantenere viva l'attenzione di quest'ultimo. In particolare, in questo senso agiscono i tratti di sequenze surreali, quelli che lo spettatore non è sicuro se siano accaduti sul serio o se siano solo frutto della fantasia di una protagonista con una personalità che sfiora la natura hikikomori (ovvero quella di chi sceglie di ritirarsi dalla vita sociale), salvo poi incontrare una persona che è una hikikomori vera e propria, ossia Rebecca.
Di fronte a qualcuno che si trova su un piano inclinato molto più ripido e pericoloso rispetto al suo, Amanda avverte quasi una chiamata a darsi da fare, a rimboccarsi le maniche per salvare la vita dell'amica di infanzia e, in questo modo, salvare anche la sua. Ciò che la distingue da Amélie Poulain, in effetti, è proprio questa autocoscienza che Amanda ha di sé e della propria condizione di asocialità, la quale sembra prevalere fino a quando non è lei stessa a decidere di prendere in mano le redini della sua vita e darle una svolta.
Per giunta, l'espressione “prendere in mano le redini” non è affatto casuale, visto quanto la giovane occasionalmente si prende cura di un vecchio cavallo che sembra non interessare a nessuno, nel maneggio che pure lo ospita. L'equino, in questo senso, rappresenta un doppio di lei stessa, su cui proietta ciò che vorrebbe qualcuno facesse con lei, almeno fino a quando non trova lei per prima dentro di sé la forza per mettersi in gioco.
All'interno di questo quadro tanto complesso, ed è il vero paradosso di questo film, si muove tuttavia un racconto marcatamente al femminile, in cui la presenza maschile è marginale. Amanda è però sì una storia di donne, ma rivolta a tutti, in quanto racconta le difficoltà con cui le donne devono confrontarsi nel rapportarsi sia verso il mondo esterno, sia, e per certi versi forse soprattutto, verso sé stesse.
Questo è il motivo per cui non risulta affatto offensiva la rappresentazione maschile offerta da Carolina Cavalli quando porta in scena figure che sono sostanzialmente inette, sempliciotte o addirittura assenti. È una sorta di contratto con lo spettatore, che si accorge ed accetta che ciò che la regista gli pone innanzi è un interessante spaccato dell'interiorità femminile.