di Lorenzo Meloni
1927. Il mondo magico è in subbuglio dopo la rocambolesca evasione dal confino newyorkese di Gellert Grindelwald, mago fra i più potenti e spietati di sempre e convinto della necessità di instaurare il dominio del mondo magico su quello babbano. Sta raccogliendo seguaci, mantiene un basso profilo limitando l'uso plateale della violenza, e intanto è sulle tracce del misterioso ragazzo il cui potere rappresenta la sua unica possibilità per sconfiggere Albus Silente. Anche quest'ultimo, pur sollecitato a gran voce dal Ministero della Magia perchè dia battaglia a Grindelwald, temporeggia: sarà ancora una volta il mite magizoologo Newt Scamander a incrociare le bacchette col mago oscuro..
Decimo capitolo cinematografico dell'universo creato da J. K. Rowling e da poco ribattezzato Wizarding World, I crimini di Grindelwald ricomincia da dove ci aveva lasciati il sorprendente Animali fantastici e dove trovarli, ma rappresenta un deciso passo indietro per quanto riguarda l'alchimia fra immagini e sceneggiatura. Nel precedente il navigato David Yates (anche regista degli ultimi quattro capitoli di Harry Potter) imprimeva il suo tipico ritmo "di volata" a una sceneggiatura che non tradiva l'inesperienza in questo campo della Rowling, perchè basata su un canovaccio semplicissimo - la ricerca da parte di Newt delle bizzarre creature fuggite dalla sua valigia - sulla cui solida base l'autrice poteva poi esprimere al meglio la fantasia esplosiva e il talento per le caratterizzazioni che l'hanno resa celebre.
Yates non tradisce neanche stavolta: la sua messinscena è precisa, gli effetti visivi ben implementati, il cast ben diretto (anche se in un paio di casi il doppiaggio rovina tutto) con il surplus del soddisfacente ritorno all'ordine di un Johnny Depp evidentemente intenzionato a riguadagnare il rispetto del suo pubblico, e che regala un Grindelwald ambiguo più che villain a tutto tondo, misterioso e manipolatore. Alcune sequenze poi, su tutte la sua fuga iniziale nel tempestoso cielo notturno di New York, sono d'altissima scuola in campo blockbuster.
È invece proprio sulla sceneggiatura della Rowling che si gioca il parziale fiasco del film. Verbosa, meccanica e inutilmente contorta, dimostra senz'altro che questo autentico genio contemporaneo, capace di creare un universo vivo e complesso divenuto il maggior fenomeno letterario della storia e di forgiare con esso un'intera generazione di lettori, ha ancora tanta strada davanti a sè prima di poter trasporre in cinema quella stessa labirintica complessità in maniera ottimale, un apprendistato che speriamo si compia nel corso dei rimanenti tre capitoli del Wizarding World dedicati alla saga di Animali fantastici.
Ma dimostra anche che non ha a cuore la sua creatura? Perchè probabilmente è su questo che si basano i critici americani, unanimi in una fragorosa stroncatura che li contrappone a quelli europei. E' la distinzione fra chi guarda soprattutto alla fattura del prodotto in sé e chi, ben più addentro alle logiche performative dell'industria cinematografica, preventiva una reazione negativa da parte del pubblico e condanna in sua diretta conseguenza. A differenza di Animali fantastici e dove trovarli la cui semplicità lo rende fruibile anche ai non iniziati, I crimini di Grindelwald è un film per fan, che si lega più strettamente al canone della saga di Harry Potter e richiede una conoscenza abbastanza specifica di quell'universo per riuscire a processare tutte le informazioni, nomi, riferimenti.
Questo che ad esempio è stato il tallone d'Achille di Blade Runner 2049, reo di aver sovrastimato la conoscenza specifica del primo capitolo da parte del grande pubblico, qui non sarebbe di per sé un problema: i fan di Harry Potter sono milioni, gran parte dei nati fra la fine degli anni '90 e l'inizio dei 2000 conosce i romanzi a memoria e tanti altri hanno seguito almeno la saga cinematografica. Ma proprio questo amore, dovesse sentirsi tradito, rischierebbe di esplodere in mano ai realizzatori, di trasformarsi in un'arma a doppio taglio. E il giudizio dei fan oltranzisti è severo: alcune delle rivelazioni del film (specialmente il twist finale) sembrano minare la coerenza del canone principale.
A questo punto urgono due considerazioni. Uno: se è vero come è vero che gli incassi stanno volando alle stelle, deve significare che questa filologia inflessibile – simile a quella dei fan di Tolkien o di Star Wars – non condizione grosse fasce di pubblico, come chi si è sempre limitato ai film o i piccolissimi, numerosi nelle sale. Due: ci sono discrete probabilità che ciò che sembra contraddittorio, più che il “tradimento” di una Rowling senile o ormai disinteressata al destino del suo mondo di fantasia, sia frutto del suo già citato spaesamento in fase di sceneggiatura. Già a una seconda visione alcune sequenze farraginose o troppo enfatiche rivelano una logica interna che era sfuggita semplicemente perché un'inquadratura “serve” dettagli e consequenzialità diversamente da un paragrafo scritto, il modello che lei ha evidentemente ancora in testa. Possibile, anzi probabile, che ciò valga anche per il complesso della vicenda raccontata dalla pentalogia in corso di svolgimento, che la sua logica letteraria stridendo su grande schermo si scambi per incoerenza. C'è tutto il tempo per imparare.