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Black Panther: Wakanda Forever

di Luigi Ercolani

Si può fare un film su Black Panther senza Black Panther? I Marvel Studios ci hanno provato, e il risultato è stato un ibrido, per metà celebrativo e per metà sociologico. E purtroppo va ammesso che entrambe queste declinazioni presentano delle problematiche.

Partiamo dalla prima. Come è noto, Chadwick Boseman, l'attore che interpretava l'eroe africano per antonomasia della Marvel, è venuto a mancare nel tardo agosto del 2020. Nel 2016 gli era stato diagnosticato un tumore al colon, che non è mai divenuto di dominio pubblico fino a quando non ha provocato la prematura scomparsa dell'interprete. Il cordoglio è stato trasversale, un po' per il fatto in sé, un po' perché l'universo cinematografico Marvel, godendo di larga popolarità, aveva chiaramente aumentato la notorietà dell'attore presso il grande pubblico.

Proprio questo evento luttuoso è al centro di Black Panther: Wakanda Forever, dove anche il protagonista viene fatto morire, a causa di una misteriosa malattia, generando quindi un vuoto a livello diegetico, ovvero nella storia in sé. A più riprese, durante questo secondo capitolo dedicato alla Pantera Nera, sono presenti omaggi a T'Challa, di cui viene altresì ricordato il percorso nei film Marvel fino a questo momento.

La cadenza frequente di tali tributi, tuttavia, finisce per appesantire la narrazione, rendendola spesso inutilmente stucchevole e ripetitiva. Elaborare il lutto una sola volta sarebbe stata, forse, una scelta più equilibrata, e avrebbe dato anche allo spettatore, specie a quello più fedele, la possibilità di fare lo stesso in maniera più personale.

La scomparsa del re T'Challa, è tuttavia anche un punto di aggancio per una tematica sociologica rilevante, ovvero il vuoto di potere di un paese africano che genera interessi economici da parte di potenze mondiali che guardano a come sfruttare le risorse del continente a proprio vantaggio, incuranti delle ricadute sociali dello loro politiche neocoloniali. Un argomento corposo, che tuttavia viene proposto con timidezza, e per certi versi anche fuori luogo.

Certo, se ad uno spettatore stimola il tema dello sfruttamento dell'Africa, in teoria, questi non va a vedere un film di supereroi, così come chi si reca al cinema per tale genere di lungometraggi certamente vuole più azione e meno sociologia. Eppure, nel momento in cui si propone tale tema bisognerebbe portarlo avanti fino in fondo, ad esempio trattando non solo il risvolto degli interessi pubblici da parte degli stati, ma anche quelli privati delle multinazionali, dei quali invece qui non viene fatta alcuna menzione.

Oltre a ciò, la scelta di strutturare il Wakanda esattamente come viene rappresentato nei fumetti Marvel, ovvero una nazione tecnologicamente all'avanguardia, stona con il tema dello sfruttamento. Lo spettatore più attento, infatti, si fa la stessa domanda che si era già fatto Killmonger, il villain, nel primo film: perché, se il Wakanda aveva tutte queste risorse, ha pensato unicamente a sé stesso, senza aiutare i paesi limitrofi, certamente più poveri?

Intendiamoci, dalla visione di Black Panther: Wakanda Forever si esce complessivamente soddisfatti: lo stupore visivo non manca, l'azione nemmeno e anzi, per certi versi si tratta di un lungometraggio che non si mantiene pedissequamente sullo schema narrativo dei film di genere, ma lo complica rendendolo più interessante. L'inconveniente è che è un film che esagera quando non dovrebbe e non osa quando invece sarebbe opportuno.

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