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Bong Joon-Ho e l'eredità di "Il silenzio degli innocenti"



di Lorenzo Meloni


Il silenzio degli innocenti non è soltanto uno dei padri del thriller contemporaneo, impostosi a trent'anni da Psycho come nuovo modello classico e inesauribile bacino estrattivo di forme e consuetudini narrative. Come più volte osservato, dietro la trama criminosa del capolavoro di Jonathan Demme si cela anche un sopraffino apologo sociale, nel segno di un doppio movimento (o sguardo reciproco) fra i bassifondi white trash e le alte sfere del Senato degli Stati Uniti, fra la "pura Virginia Occidentale" e gli uffici lindi e asettici dell'F.B.I.; anche questa valenza rivestono, nell'inquietante simbologia del film, i luoghi ricorrenti riferiti all'ambizione scopico-metamorfica: la mutazione del baco in farfalla, Hannibal che dal chiuso della sua cella sotterranea sogna "una bella vista", la giovane Catherine Martin che guarda verso l'apertura della sua prigione nelle viscere della terra, Buffalo Bill che nel suo scantinato - con indosso il visore notturno - tende mani avide verso la già emancipata e "mutata" Clarice Starling. Non stupisce quindi che un autore così politico e attento al racconto della stratificazione sociale come Bong Joon-Ho possa avervi trovato un film-faro, citato e rielaborato con tale insistenza da dare la sensazione di potervi ricondurre gran parte della sua opera come a una matrice originaria. Se quasi subito non sembrò casuale la scelta di inserirsi con Memories Of Murder (2003) proprio nel filone serial killer inaugurato dal film di Demme (per arrivare al limite del calco nella sequenza dell'autopsia, col rinvenimento di un corpo estraneo in un orifizio della ragazza assassinata) da allora il debito si è rinnovato film dopo film, informando molti dei principali tòpoi del cinema del sudcoreano.


Scorrendo anche solo il breve elenco fatto sopra, è facile vedere "attraverso" Il silenzio degli innocenti tante metafore e visualizzazioni care a Bong: nella Sfinge Testa di Morto il suo approccio entomologico, i proletari costantemente equiparati ad infestanti insetti, mostri artropodi o - come da titolo del suo film più recente - "parassiti", vogliosi di lasciare il bozzolo e spiccare il volo verso i piani superiori; nel labirinto di prigioni fisiche e psichiche del film del 1991 le sue catacombe sociopolitiche - un campionario di stilizzazioni classiste che dalle grigie province all'ombra della grande metropoli di Memories of Murder e Mother (2009) va a radicalizzarsi ulteriormente col treno di Snowpiercer (2013) e la cunicolare villa di Parasite; nell'enfasi sullo sguardo desiderante e predatorio, la bestiale, vettoriale aggressività di pulsioni e movimenti di tutti i suoi personaggi. A costo di annoiare o passare per pedanti, può essere utile ricordare altri momenti in cui Bong ci ha reso impossibile non pensare all'illustre modello, per corroborare la tesi della sua risonanza in un cinema che altrimenti (tolto Memories Of Murder) rischierebbe di sembrarne piuttosto distante. Ci sono infatti alcuni rimandi letterali, dalla presenza in The Host e Snowpiercer di due brevi cameo dell'attore americano Paul Lazar - caratterista dall'inconfondibile strabismo apparso in diversi film di Demme, che in Il silenzio degli innocenti interpretava (guardacaso) il ruolo dell'entomologo - alla sequenza di Snowpiercer in cui i picchiatori fascisti aspettano che il treno entri nel buio di una galleria per armarsi di visori notturni identici a quello usato da Buffalo Bill.


Dove Bong si è distaccato maggiormente dal modello, al di là delle evidenti differenze di genere e stile, è nell'adozione di uno sguardo collettivo in luogo di quello prettamente soggettivo di Demme, oltre che - malgrado le apparenze - più globalistico che non attento al singolo contesto nazionale. Se quella dell'american airl Clarice Starling è e non può non essere una storia di individui, marchiati da una solitudine tutta yankee appena diluita da rari e pericolosi lampi di empatia, i film di Bong si muovono lungo traiettorie progressivamente più ampie e inclusive, dove l'unità di base è sempre il nucleo lavorativo o familiare, e la società sudcoreana è l'anticamera di mali che piagano l'umanità intera (i cast multicolori di Snowpiercer e Okja, gli accenni alla penetrazione culturale americana in Host e Parasite).Ma anche mentre porta il suo cinema sempre più verso l'high concept, prendendo di petto temi caldi come animalismo, cambiamento climatico e sovrappopolazione, Bong non ne tradisce il nucleo profondo, quel confrontare grande e piccolo, ricco e povero, luce e buio, ordine apparente e caos inconscio, dalla prospettiva del ragno nel buco che aspetta l'oscurità per scorrazzare ai piani alti. Proprio come quel "ragazzaccio" di provincia che allevava farfalle e sognava di cambiare..




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