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Captain America: Brave New World

di Luigi Ercolani


Poco riuscito, rimaneggiato, inutile, misero, paranoico, flop, senza carisma, privo di sequenze memorabili. Questa è solamente una parte dei molti giudizi decisamente poco lusinghieri sul nuovo capitolo del Marvel Cinematic Universe, dedicato all'eroe che è quintessenza dell'autopercezione statunitense. Ma è davvero così?

Risposta: non proprio. Se infatti effettivamente qua e là si nota che il film ha attraversato una storia produttiva travagliata, bisogna però sottolineare come Captain America: Brave New World è perfettamente coerente con gli Stati Uniti odierni.

Stati Uniti che risultano ancora oggi la potenza egemone del pianeta, ma che loro malgrado vivono una crisi di cui non è possibile ignorare i segni. Arbitri di un mondo da circa otto miliardi di persone, i cittadini a stelle e strisce hanno scoperto solo di recente che non era vero, come si sono raccontati per anni, che il mondo bramasse avere il loro modello di vita.

Il risveglio da questa mitopoiesi di stampo marcatamente messianico ha generato due diverse reazioni. Da una parte ci sono gli USA dell'entroterra che vorrebbero ristabilire la grandezza del proprio Paese, dall'altra gli USA costieri che puntano a delegare la faticosa gestione del pianeta, e sono assillati dall'idea di scusarsi per i danni arrecati all'umanità.

Captain America: Brave New World, in quanto prodotto hollywoodiano, è di per sé fisiologicamente ascrivibile alla seconda categoria. Ed infatti porta di quest'ultima le evidenti stigmate.

I precedenti lungometraggi dedicati a Steve Rogers avevano il sapore degli Stati Uniti come popolo eletto, faro dell'umanità che protegge il mondo dalle minacce interne (mentre al contrasto di quelle esterne furono deputati gli Avengers e i relative pellicole). Tale forma mentis impregnava il contenuto e scandiva la narrazione dei film dedicati alla Leggenda Vivente, contribuendo a rafforzare la propaganda dello Zio Sam pro domo sua.

Ecco, forse quello che disorienta di questo film incentrato su Capitan America è proprio che tutta questa retorica è improvvisamente scomparsa, quasi fosse stata cancellata con un colpo di spugna. Come ed ancor più che nel primo Avengers, in questo lungometraggio sono infatti l'ingordigia e la volontà di potenza a stelle e strisce a rappresentare fonte di potenziali minacce per gli altri Paesi.

Degli Stati Uniti così dimessi, persino autolesionisti, non li si è mai visti nelle produzioni hollywoodiane. Un'ammissione di colpa che anzi stona, nella misura in cui non sono certo questi gli scenari dove andrebbe fatta, apparendo perciò anche un filo stucchevole.

Da questo punto di vista bisogna però dire che, rispetto ad uno Steve Rogers il cui dogmatismo viene scambiato per carisma, la figura di Sam Wilson appare decisamente coerente con l'ottica assunta dal lungometraggio. Ben più sopportabile della sua pedante controparte fumettistica, anche grazie all'interpretazione di Anthony Mackie, il fu Falcon nel nuovo ruolo di Capitan America non sfigura, anche grazie ad un'ironia acuta e ad un senso di responsabilità che però non straborda mai nell'ossessione.

Captain America: Brave New World  è, in atri termini, un film sugli Stati Uniti in crisi d'identità, lacerati tra le proprie manie di grandezza ed il mea culpa per queste ultime. Forse non è quello a cui lo spettatore è abituato, ma rappresenta in fondo un quadro sintomatico dello stato di salute di quella che, piaccia o non piaccia, è in fondo ancora la prima potenza globale.


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