di Lorenzo Meloni
Nell’URSS del 1938 Fedor Volkonogov è capitano del servizio di sicurezza nazionale incaricato di sopprimere l’opposizione politica. Nella sua giovane vita ha assistito e partecipato a torture, esecuzioni e damnatio memoriae facendosi una reputazione di ottimo elemento affidabile ed efficiente. Ma un giorno il suo superiore si getta nel vuoto dalla finestra dell’ufficio, e la vita di Volkonogov precipita con lui: sospettato di tradimento, è costretto a fuggire e pedinato dai suoi ex-colleghi. Apparendogli in sogno (un po’ come in Un lupo mannaro americano a Londra) il suo migliore amico già passato per le armi gli affida una missione. Se vuole scampare alle fiamme dell’Inferno dovrà mettersi in contatto coi familiari delle vittime delle Purghe e ottenere il loro perdono.
Dopo il piccolo dramma transgenderThe Man Who Surprised Everyone (2018), presentato qualche anno fa alla 75a edizione della Mostra del Cinema dove vinse il Premio Orizzonti per la migliore attrice, Natasha Merkulova e Aleksej Cupov tornano al Lido di Venezia sorretti da ben altri mezzi e ambizioni ma in perfetta coerenza con le tematiche sviscerate da quel film. Rivestito nei colori di una messinscena sontuosa da grande racconto storico, venato di action e di una sottile patina tragicomica, il conflitto fra un militare sedizioso e la Patria che non vuole più servire conferma i due registi-sceneggiatori (coniugi nella vita) come esploratori di dinamiche di dissenso in contesti oppressivi, intenti a illuminare e discutere il conservatorismo dei valori tradizionali del paese.
Dal contesto ristretto e marginale di un villaggetto della Russia rurale dove un guardaboschi, incarnazione vivente di modelli di virilità arcaica, dopo una diagnosi terminale di cancro trovava nel cambiamento da uomo in donna la possibilità di una riformulazione ribelle del proprio statuto sociale, lo sguardo si allarga qui alla storia del ‘900; mapiù che di revisionismo - ormai ampiamente sdoganato - degli orrori staliniani, l’affondo dei due moscoviti sa decisamente di allegoria del presente, fra gli accenni un po’ didascalici ai rischi corsi nel clima paranoico dell’epoca da chi si dedicava a studi virologici, e la significativa scelta di ambientare la storia prima dell’inizio della guerra, nel qui ed ora di un regime ancora lontanissimo dalle incrinature ideologiche dei decenni successivi.
Anche Volkonogov è rappresentante di un codice di condotta ipertradizionale. Nella primissima scena lo vediamo carponi assieme ai suoi colleghi, ringhiare e ansimare come un lupo in un gioco di consolidamento cameratista che rimanda alla dimensione del branco. Anche per lui il fattore scatenante della rivolta è l’incombere della morte, stavolta rappresentata fuori da qualunque metafora dal braccio armato di un Sistema che sopprime le schegge impazzite, e fra cui per buona misura metaforica si trova un comandante con pochi giorni da vivere per colpa di una brutta malattia polmonare. Dovessimo trovare una pecca, in un film che per molti versi testimonia la crescita della coppia Merkulova/Cupov, sarebbe questa tendenza a sconfinare nel pedante pur di assicurarsi che il messaggio arrivi a destinazione. L’opera precedente “sorprendeva tutti”, questa ogni tanto fa roteare gli occhi.