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Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia 

di G. Cecchettin con M. Franzoso (Rizzoli, 2024, pp. 160)


Personale è politico, per togliere la terra sotto i piedi alla cultura patriarcale 

 

Il valore e la forza di questo volume risiedono nella semplicità e nella sobrietà con cui un padre si rivolge alla figlia perduta a soli 22 anni l’11 novembre 2023, per femminicidio, una fine “assurda” come si legge nella bandella di copertina. 


Ma non è solo a Giulia che Gino Cecchettin scrive la sua lunga lettera (Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia, G. Cecchettin con M. Franzoso, Rizzoli, 2024, pp. 160). Ciò che interessa questo padre è che la storia non si ripeta, che questa assurdità – che non è una anomalia – non venga reiterata, che si abbia la voglia e la forza di cambiare stereotipi antichi e paradigmi sociali, che gli interrogativi che lui si pone siano quelli di tutti e tutte, così come le risposte più immediate, così come le prospettive, affinché – è l’ultima riga del volume – i giovani e le giovani possano “costruire un mondo migliore”. 


Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia 

È per questo che Gino “sente forte il dovere” di rendere pubblico, e politico, il suo dolore: “Sei la mia Giulia e sarai per sempre la mia Giulia – scrive –. Ma non sei più solo questo. Tu dopo quanto è successo sei anche la Giulia di tutti”. Quella ragazza dal sorriso tenero, riservata, determinata nei suoi obiettivi, attenta verso gli altri, studiosa in procinto di laurearsi, equilibrata, questa figlia ideale è la figlia di tutte e tutti. È la sorella di tutte e tutti. Una giovane la cui “normalità” disarmante ha fatto saltare ogni scusa possibile, ogni appiglio giustificatorio di una cultura che senza se e senza ma si è rivelata per quello che è: “I mostri non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro”. Così si esprime la sorella di Giulia, Elena, di due anni più grande, a poche ore dal delitto, proseguendo: “Il femminicidio è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela, perché non ci protegge. Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere”. Esplode una bomba. Si scatenano gli haters. Ma dì lì a qualche giorno, le strade delle città d’Italia si riempiono come non mai di donne e uomini, di ogni età, che manifestano in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre; e i telefoni dei Centri antiviolenza squillano in continuazione per una impennata di richieste di aiuto da parte non solo di ragazze che si interrogano sulle loro relazioni, se pericolose o meno, ma anche di genitori allarmati. 


Possiamo dire che esiste un prima e un dopo questo ennesimo femminicidio e queste oceaniche manifestazioni che hanno acceso finalmente un’attenzione più duratura sul fenomeno che in Italia porta alla morte di una donna ogni tre giorni. È proprio un allarme che il libro di Gino Cecchettin vuole esprimere e sollecitare, condividendo i suoi dubbi e un percorso di elaborazione di pensiero e di crescita personale a partire dagli interrogativi sulle radici profonde della cultura patriarcale della nostra società. “Mi è sembrato di imparare l’alfabeto”, dice. Non ci sono slogan nelle pagine, ma la potenza di pochi e significativi dati che Cecchettin introduce con naturalezza mentre ricorda la figlia: come il fatto che ancora nel 1956 in Italia vigeva lo Ius corrigendi e cioè il diritto dell’uomo di “educare e correggere”, anche con l’uso della forza, moglie e figli; e che è solo nel 1996 che lo stupro diventa delitto contro la persona e non contro la morale; oppure che a tutt’oggi, su 195 paesi non ce n’è uno in cui ci sia uguaglianza salariale tra uomini e donne. Gino parte da sé e si rivolge agli uomini, “i primi a dover cambiare”, li invita a individuare cause ed espressioni – macro e micro – di questa cultura sopraffattrice, a metterla a fuoco nel quotidiano, a unirsi per cambiare lo stereotipo maschile (“Lavoriamo insieme e forziamo la cultura che ci è stata tramandata”), a non temere di perdere potere perché “non rinunciamo a niente nel momento in cui ci mettiamo al servizio di questa battaglia. Anzi diventiamo più solidi”. Esorta a costruire un’alleanza tra i sessi. “Solo così possiamo togliere la terra sotto i piedi all’uomo violento”.


Lo scritto dunque è un appello a uomini e donne, alle famiglie, alle istituzioni, alle scuole. Ed è urgente: “Non procrastiniamo. Iniziamo ora. Subito. Adesso”.


Il libro, inoltre, è parte di un progetto più ampio – portato avanti anche con la “Fondazione Giulia” che ha preso avvio in questi ultimi mesi – a sostegno delle vittime di violenza di genere. Una ragione in più per acquistarlo!

 

di Barbara Pierro

Direttivo Fitel Nazionale


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