Di Lorenzo Meloni
Il titolo originale di Charley Thompson era il meno intelligibile ma significativo "Lean-On Pete", a riprova del vizio italiano di ribattezzare i film per ragioni di marketing. Niente di nuovo in questo. Semmai è curioso notare come a volte gli adattamenti rivelino un certo grado di comprensione dell'opera. Qui per esempio, nel titolo italiano, il nome di un cavallo è sostituito da quello del giovane protagonista (Charlie Plummer). Un caso forse, ma inquadra il film di Andrew Haigh con straordinaria precisione.
Lean-On Pete è un quarter horse, razza di mezzo fra purosangue inglese e mustang, così chiamata perchè veloce solo sul quarto di miglio. Come corridore non è granchè, così il proprietario Dale (Steve Buscemi) lo iscrive al maggior numero possibile di gare di terza categoria senza preoccuparsi di sfinirlo, con più di un "aiutino" endovena e cercando di farlo fruttare quanto può almeno contro i brocchi. I cavalli buoni li tiene per le corse importanti. A dire il vero di Pete si è stancato ("se avessi qui la pistola gli piazzerei una pallottola subito"); o si sbriga a vincere qualche cosa o dovrà andare in Messico, non per correre ma al mattatoio. Il suo cammino sempre ai finimenti, mai uscito dal percorso maneggio-ippodromo, è destinato a incrociare quello di un quindicenne allampanato e taciturno di nome Charley.
Charley Thompson vive da solo con il padre e la compagna del momento, sua madre se n'è andata anni fa e non si è più vista. C'è una zia nel Wyoming, ma non ne parlano mai. Lavora con Dave per fare la sua parte con le spese. Come Lean-On Pete, che striglia e porta a passeggiare e a cui si confida come a un amico, è di fatto un prigioniero. Plummer colpisce per la sobrietà e dolcezza che presta al personaggio, legato alla sua disastrata famiglia da un affetto che rende ancora più dolorosa la ricerca di qualcosa d'altro e di migliore. Giovane promessa del football, Charley corre a perdifiato per le strade intorno a casa, candido e leggero come un animale alla catena, costretto da tutta la vita a girare in tondo.
" Pete non è un cucciolo. È un cavallo da corsa, e un cavallo da corsa se non va veloce non serve a niente. Non ti affezionare ai cavalli. " ma Charley a Pete si affeziona, fino a sottrarlo a Dale per evitargli una fine orrenda, in fuga rocambolesca nella vastità dell'America rurale. In una sequenza lo vediamo correre di spalle e sparire nel buio, il bianco dei pantaloni che si perde in lontananza; c'è una scena quasi identica in Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) di Milos Forman, di gran lunga il momento più catartico e liberatorio del film. Man mano che il viaggio prosegue, però, si fa sempre più chiaro che non tutto è risolto. Che la libertà potrebbe non bastare..
L'altro polo psicologico di questo eroe laconico che sembra uscito dalla penna del miglior McCarthy è l'abbandono, non-personaggio di devastante impatto sulle vite di tutti i protagonisti. Se Charley si identifica con il desiderio di fuga della madre, ne ha provato sulla pelle anche le possibili conseguenze. Sulla strada lui e Pete fanno tanti incontri, amichevoli ma di breve durata. E ogni separazione, quasi come un ripetersi di quell'abbandono, porta con sè il male, la violenza, l'incomprensione. Che cosa potrà succedere è tutt'altro che scritto. Sono la conflittualità vera e credibile del suo protagonista e l'intelligenza con cui la sviluppa a fare di Charley Thompson, senza mezzi termini, uno dei migliori racconti di formazione degli ultimi anni.