di Lorenzo Meloni
Una città, un'unica vita sul filo del rasoio, due traiettorie che si incrociano. Michael è il meno duro di una coppia di rapinatori che capitano una notte in mezzo a un oscuro affare di droga e polizia; scappano, sono inseguiti, sparano, uccidono. Presto le forze dell'ordine dell'intera Manhattan gli sono alle costole. Andre è lo sbirro a capo delle indagini. La sua è una vera e propria vocazione alla Legge, un battesimo nel sangue versato da suo padre, anche lui agente e rimasto freddato in azione. È un insubordinato, considerato dal grilletto facile per via di qualche morto di troppo in carriera, ma quando si mette sulle tracce di Michael - tracce che portano agli angoli in ombra del Dipartimento di Polizia - si accorge di essere l'unico a voler fare domande prima di sparare..
City Of Crime (21 Bridges) è un film di guardie e ladri come se ne facevano negli anni '70, di quelli che avrebbero fatto scintille in mano a un Friedkin o Sidney Lumet. Appartiene a quella stessa idea di racconto urbano duro e non compromissorio che - sopravvissuta negli anni fra alterne vicende - ha prodotto giusto pochi mesi fa un risultato notevole col Joker di Todd Phillips, da cui lo distingue un taglio molto più B-movie, riconducibile a casi recenti quali la saga di The Purge e il quasi omonimo (in traduzione italiana) City Of Lies, passando anche per le scorribande al limite del fantascientifico di John Wick e Hotel Artemis.
I modelli sono evidenti, e tutto sommato ben amalgamati: Come in Serpico (1973) un poliziotto tutto cuore e morale si dibatte fra i tentacoli della corruzione del suo distretto; come in Heat - la sfida (1995) assistiamo al duello a distanza fra detective e criminale, segnato non dall'odio ma da un mutuo riconoscimento romantico fra eroi da vecchio film noir. Come in I tre giorni del Condor (1975) un uomo mite è costretto alla fuga per le strade di una città ostile, bersagliato da forze di cui ignora natura e motivazioni. Come in 1997- fuga da New York (1981) troviamo una Manhattan in quarantena, segno quasi biblico di uno stadio terminale di decadimento. Per finire - in comune con Joker - c'è anche una chiara citazione alla leggendaria scena della metropolitana nel Braccio violento della legge (1972).
Della politicità di alcuni di questi modelli è in qualche modo figlia la proposta di un eroismo black contemporaneo in City Of Crime, scintillante fibra morale contro il buio pesto di una New York claustrofobica e marcia, calzato come un guanto da due delle principali giovani star afroamericane attive oggi a Hollywood, Chadwick Boseman (Black Panther) e Stephan James (già visto in Race nei panni di Jesse Owens). Purtroppo il progressismo del progetto appare contraddetto da un'etica di fondo perfettamente conforme ai valori di un'America rozzamente conservatrice, appena camuffata da quell'ambigua patina di anarchismo moraleggiante che (ogniqualvolta non è in mano a un autore della grazia e del rigore di Clint Eastwood) tende a scendere la china di un bieco gusto per l'autocommiserazione e il vigilantismo.
È vero che l'eroe non spara mai per primo (non lo faceva neanche Callaghan), ma per quanto si ostenti - anche in relazione politica al colore della pelle - la "diversità" morale dei due leading men rispetto al contesto, resta una visione del mondo non poco problematica, col poliziotto onesto equiparato al soldato americano in Vietnam che "non arretra ma combatte fino alla fine", e uno svolgimento che, come ha osservato giustamente qualcuno, sembra progettato apposta per non mettere mai in discussione la moralità del protagonista, fornendogli le occasioni per un bagno di sangue "impuro" (tanto lui risponde al fuoco..) senza sporcargli il distintivo di poliziotto illuminato e maldisposto alla violenza. È questo che non ci piace in City Of Crime, per il resto un solido b-movie di tradizione, con un cast competente e buonissime scene d'azione.
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