di Lorenzo Meloni
Secco, stordente e di granitico idealismo, City of Lies è cinema d'altri tempi. Non come in "passato". Come in "Old School". Termine che nel rap chiama all'appello due nomi: Christopher Wallace, in arte The Notorious B.I.G., nei '90 leader incontrastato della East coast, e Tupac Shakur, che spadroneggiava nella West. Uccisi a colpi di pistola a pochi mesi di distanza uno dall'altro. Un terzo uomo "vomitò il suo ultimo respiro" su questi due macroscopici casi irrisolti, la cui scia di sangue scorreva tanto fino alle porte delle gang losangeline quanto a quelle dei commissariati di polizia. Si chiamava Russell Poole.
Jack Jackson (Forest Withaker) è un giornalista a caccia di un pezzo su "Biggie". Come tanti è convinto che fu lui a ordinare l'omicidio di Tupac nel settembre 1996 prima di finire a sua volta assassinato, ma è disposto a considerare qualsiasi alternativa possa fargli scrivere un articolo-bomba. Perfino la scomoda ipotesi di Poole (Johnny Depp). Tanti anni dopo l'ormai ex-detective è una barzelletta fra le più popolari nel dipartimento di polizia di Los Angeles. Stanco e sformato, dimentico di tutto il resto, un estraneo per la sua famiglia (non si perde una partita del figlio astro nascente del baseball, ma lo fa in incognito e senza mai palesarglisi) vive letteralmente fra i documenti e le foto segnaletiche sul caso Wallace, con cui ha tappezzato le pareti del suo studio.
Per lui, The Notorious B.I.G. non è mai stato solo un pretesto per avanzare di carriera. È un essere umano. Pretende che i suoi interlocutori lo chiamino Christopher o "signor Wallace". Ora, e forse questo aiuterà a chiarire il punto di vista del film: neanche per noi spettatori di City of Lies The Notorious B.I.G. è mai solo un pretesto narrativo. La sua estetica gangsta anni '30, il suo flow caldo ed ipnotico, la sua figura di debordante idolo pagano. Oltre ai filmati di repertorio, tutto ciò illumina la breve ma stupenda sequenza che ne ricostruisce l'esecuzione. E che come poi per tutto il film non è un fiacco flashback da serial televisivo. È la Morte, la gloria. Il fato. "Non sai mai quando busserà alla tua porta" dice il voiceover allo spasmo della tensione. "Quindi vivi! Ama!!" .. bang, bang, bang, bang, bang, bang.
"Le è mai capitato di amare qualcosa fino a chiudersi completamente in essa?" Chiede Poole a Jackson facendolo vergognare, perchè no, per lui tutto ha sempre avuto un'importanza strategica, relativa, occasionale. Ma ecco di fronte a lui un uomo con una missione. In un altro flashback vediamo Poole/Depp ricostruire su un grosso plastico la dinamica del delitto, parlando e spostando i modellini delle automobili presenti sulla scena. Si prova una tensione particolare in questa sequenza, un'euforia ingiustificabile con la mera scoperta di una possibile verità, e che invece ha a che fare con il brivido morale che proviamo, al cinema e nella vita, quando pensiamo che qualcuno stia "facendo la cosa giusta".
Non è un caso che questa espressione, titolo del più famoso film di Spike Lee e sinonimo di spaesamento e rabbia nell'america ancora e sempre segregata, figuri in City of Lies. Il regista trapiantato a Brooklyn la usava con tetra ironia, denunciando la scissione della società americana che rendeva impossibile isolare un giusto universale. Il dramma di Russell Poole è diverso, lui nella Giustizia crede. Ma che fare se chi dovrebbe proteggerla le sbarra la strada? Mentre rinverdisce i fasti del film-inchiesta anni '70 e del poliziotto eroe alla Serpico, il cui protagonista Al Pacino recitò al fianco di Depp in Donnie Brasco che di City of Lies condivide il piglio cupo, nevrile e scattante, il film di Brad Furman (The Lincoln Lawyer) tesse una parabola di cieco idealismo in faccia all'impossibile, che più riesuma il Giusto strappando all'oblio la storia di un suo sfortunato agente, più per converso denuncia la crociata personale, perfino il martirio, e in generale la solitudine e il fallimento, come unici suoi viatici possibili. Finchè, com'è chiaro dall'inizio, non c'è più tanta differenza fra il detective e l'uomo detto Biggie, raggiunto da quattro colpi di pistola dietro i finestrini oscurati della sua Limo. Soli. Vulnerabili. Vittime.