di Luigi Ercolani
“Quid est veritas?”,“Che cos'è la verità?” (Gv, 18,38). È ciò che chiese Ponzio Pilato a Gesù, mentre lo interrogava, stupito o incuriosito da quanto il suo interlocutore gli aveva detto, ovvero che il regno di cui parlava non faceva riferimento al mondo terreno, e che lui era venuto per rendere testimonianza alla verità.
La medesima domanda, tuttavia, se la pone per tutto il lungometraggio anche lo spettatore di Giurato numero 2, l'ultima fatica cinematografica di Clint Eastwood. Come successo molto spesso nei film da lui diretti, ancora una volta il regista californiano si è inserito in un genere specifico per capovolgerlo completamente.
Va specificato che negli ultimi tempi Hollywood ha un po' marginalizzato la pellicola di tipo processuale, preferendo battere piste dalla tenuta al botteghino ben più sicura e remunerativa. Non per Eastwood però, che ha intravisto in questo tipo di poetica una chiave per parlare di questioni che toccano trasversalmente l'essere umano di qualsiasi età, classe sociale ed epoca storica.
Per fare ciò, il regista ha scelto un approccio diretto: non si è nascosto, o non ha intavolato con lo spettatore una sorta di gioco del gatto col topo il cui obiettivo è sviare inizialmente, per poi risolvere tutto con un colpo di scena nello scioglimento. Al contrario, nel film in questione i fatti vengono presentati in maniera esplicita sin dal principio.
A renderli tutt'altro che chiari è però la situazione contingente. Ed proprio la trama si ravviva, sviluppandosi ed avviluppandosi attorno al concetto di verità man mano che le azioni procedono in due sensi, avanti per il processo ma indietro nella ricostruzione degli eventi.
Clint Eastwood si rivela in questo senso davvero magistrale nel dosare in ogni personaggio certezza e dubbio, e nel coinvolgere in questa sorta di sala degli specchi continua anche lo spettatore. Il quale, come fosse uno dei giurati del lungometraggio, non si trova mai nelle condizioni di poter esprimere un'opinione netta, sicura.
Questa riflessione sulla verità in quanto tale, sulla necessità di non affrettare mai il proprio giudizio e sulla capacità di valutare tutti gli elementi in gioco, si lega strettamente al secondo tema cruciale di Giurato numero 2, ovvero la responsabilità individuale. Se per stabilire la verità ci vuole tempo e saggezza, sembra dire il regista, ciò non rende però innegabile che una persona spinta dalla propria coscienza ad agire nel giusto possa di per sé cambiare il corso degli eventi non solo della sua vita, ma anche di quella del prossimo.
In questo senso, Eastwood non fa sconti. Ogni individuo è infatti chiamato a operare correttamente, in ogni istante della vita, anche quelli in cui in apparenza ciò non sembra importante. E ciò va fatto in qualsiasi condizione ci si trovi, anche qualora tale scelta dovesse rivoltarsi contro il soggetto che ha agito.
E qui torna a fare capolino Pilato, che nel brano sopracitato presenta Gesù alla folla affermando di non trovare in lui alcuna colpa, ma scegliendo di lasciarlo nelle mani dei suoi aguzzini per paura della folla inferocita. Eastwood mette in guardia anche da questo atteggiamento: qualsiasi difficoltà occorra per arrivare alla verità è sempre preferibile rispetto al ritrarsi egoisticamente dalle conseguenze dei propri atti.