di Luigi Ercolani
La parola-chiave del cinema attuale sembra essere “ibridazione”. Dopo quasi centotrenta anni di cinema, con una produzione storicamente basata in buona sostanza sulla codificazione dei generi e sulla ripetitività di schemi narrativi che sono sempre uguali per fornire dei riferimenti allo spettatore, di recente molti cineasti hanno invece avvertito la sempre più impellente necessità di fondere, amalgamare, mescolare diversi stili per ottenere una narrazione che si collochi fuori dai canoni classici.
I misteri del bar Etoile, in questo senso, è un esempio perfetto. Non è un thriller, o quantomeno non nel senso stretto con cui lo avrebbero inteso gli addetti ai lavori dello studio system: malgrado la resa del titolo in italiano, infatti, di mistero ce n'è unicamente all'inizio della vicenda, e solo quel tanto che basta per stimolare chi guarda a tenere viva l'attenzione sugli eventi e, soprattutto, sui personaggi.
Il noir, infatti, viene infatti riletto dalla coppia Abel&Gordon con passaggi da commedia dell'assurdo, portando in scena gli astanti in un modo che ricorda moltissimo quello con cui solitamente è Wes Anderson a presentare allo spettatore i protagonisti del mondo in cui si appresta ad entrare. Il duo australo-belga, in effetti, sembra proprio seguire pedissequamente la via tracciata dal regista texano, in particolare nella scelta dei colori vividi e dall'eclettismo intrinseco tanto dei personaggi (e del loro modo di rapportarsi reciproco) quanto degli ambienti.
Tra gag che ricordano lo stile dello slapstick o che si rifanno alla commedia del doppio, inspiegabili elementi di fantascienza e musiche che dettano il ritmo all'azione come in un musical, il lungometraggio costruisce una cornice surreale in cui chi guarda deve aspettarsi di tutto, perché nulla risulta davvero impossibile. Un genere così rigido e austero come il noir, così attento alla summenzionata codificazione che lo regola, viene quindi ribaltato, in una sorta di dileggio del genere stesso.
In questo affresco tanto originale e frizzante, tuttavia, non manca qualche aspetto di critica sociale. Anzi, per certi versi proprio la resa tanto comica riesce ad evidenziare in maniera ancora più marcata ciò su cui i registi intendono porre l'attenzione.
Uno dei protagonisti, Boris, è infatti un ex-terrorista comunista, verosimilmente di quelle Cellule Comuniste Combattenti (CCC) di ispirazione marxista-leninista che all'inizio degli anni Ottanta compirono diversi attentati in Belgio, ed è proprio questo suo passato così violento che, riaffacciandosi prepotentemente ed improvvisamente, dà il via a tutta la vicenda. Contemporaneamente, però, vengono altresì portati in scena gli effetti più nefasti delle politiche dell'austerity, con particolare riferimenti ai tagli al settore sanitario.
Affiancando elementi tanto distanti temporalmente e politicamente, Abel&Gordon sembrano quasi avere l'intenzione di stigmatizzare tanto la forma mentis aggressiva di un passato non troppo distante, quanto quella sorda di un presente che ha dimenticato su quali pilastri si regga una società civile. A farne le spese, in entrambi i casi, sono quegli individui che non hanno modo di difendersi né dagli attacchi di stampo militare né da quelli di matrice finanziaria.