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IL CAMPIONE

Aggiornamento: 23 set 2019

di Lorenzo Meloni


L'ha detto anche Federico Buffa, uno che se ne intende di pallone e di racconto. In Italia il film sportivo non ha mai attecchito, e nei rari casi in cui se ne vede uno, il registro è quasi sempre comico.


Sono gli americani, tutt'al più gli inglesi o i francesi, a imbastire i grandi racconti epici di ragazzi salvati dal ghetto, di campi da baseball capaci di evocare gli spiriti dei tempi andati, di duro lavoro e di seconde chanche. Noi lo sport lo prendiamo in giro, perché da dopo l'era fascista non è più sembrato opportuno far corrispondere alla sua prodigiosa penetrazione popolare un comparabile sostegno mediatico. Non importa che lo seguano a milioni, e di tutte le estrazioni, né che Pasolini lo additasse come "l' ultima manifestazione sacra". Il calcio è dovuto rimanere cosa futile, snobbato dalla classe intellettuale, senza il valore sociale e politico che altri paesi da sempre riconoscono ai propri sport.

Ci voleva Matteo Rovere, forse il più coraggioso e vitale giovane produttore italiano, per invertire un trend (non solo cinematografico) pluridecennale. Da regista, oltre a Il primo re, Rovere aveva stupito proprio con un altro film sportivo, Veloce come il vento (2016) interpretato da un grande Stefano Accorsi. Ora Rovere produce Il campione (diretto con sorprendente mano ferma dall'esordiente Leonardo D'Agostini), e sa di poter trovare in Accorsi nuove sfumature; per certi versi fragile quanto il pilota tossicodipendente dell'altro film, il professor Valerio Fioretti ha il ruolo quasi opposto del pedagogo. Dovrà istruire in storia, lettere e filosofia Christian Ferro (Andrea Carpenzano), giovanissimo fenomeno dell'A. S. Roma con un brutto carattere, una vita a forte rischio di overdose da celebrità e un piede ancora incollato alle brutte compagnie dei quartieri bassi da cui proviene.

Rovere e D'Agostini fanno tutto quel che si può chiedere a un film del genere. La vicenda è quella, per la verità molto classica, dell'incontro fatale fra un padre e un figlio mancati. L'idea semplice ma efficacissima che vi immette conflittualità, che è come dire benzina, è la distanza culturale fra i due. Christian è un gretto ma non uno stupido ("se mi dicono un altra volta che sei scemo gli dò fuoco"), e ha da insegnare al suo maestro tanto quanto ne riceve. Si evitano così gli insopportabili toni paternalistici che avevamo temuto informandoci sulla trama. Come se avessero sentito anche loro Buffa, e volessero dimostrargli che nulla è impossibile, regista e produttore non creano gerarchie di valore. Il professore predica in quanto padre, non in quanto intellettuale. Il ragazzo scalpita perché giovane, non perché un calciatore sia condannato ad essere una testa calda. Insieme, non sono un canale unilaterale di trasmissione e ricezione di insegnamenti. Sono una famiglia.

La premessa (poi rinnegata, in quello che è forse uno dei pochi errori del film) ha del fantascientifico: il presidente della Roma esige che Christian, sempre più incontrollabile, si dia una regolata studiando. Deve passare un test a settimana o quel weekend non giocherà, e alla fine guadagnarsi la maturità. In fondo che male c'è a sognare un caposquadra del genere? Gli Americani non idealizzano in continuazione questo genere di figure? C'è un tempo per scoprire gli altarini e uno per lasciarsi trasportare dal cinema, e qui dopo un attimo di smarrimento stava funzionando così bene che quando il capo si rivela (realisticamente, per carità) un opportunista come tutti gli altri, rimaniamo un po' delusi.

Un piccolo neo, che però fa luce sui meriti di Il campione in fase di esecuzione di quella solida idea centrale. Il realismo infatti è la sua vera cifra, non trovandosi nemmeno un personaggio monodimensionale o (attenzione anche a figure appena sbozzate, come il manager o il vero padre di Christian) e con una cura encomiabile che va dalla visualizzazione e caratterizzazione degli ambienti alla limatura di uno script che conquista con l'ironia e smussa il melodramma - eccellente la resa sobria, non invasiva della sotto trama romantica - fino ad accortezze produttive essenziali per garantire credibilità al prodotto, quali la presenza di volti e voci note di telecronisti, presentatori, opinionisti sportivi familiari al pubblico. Al centro di tutto, la performance morbida e lievemente teatrale di Accorsi si piega con intelligenza a quella travolgente di Carpenzano, fra le migliori in assoluto del cinema italiano degli ultimi anni, capace di dare a Christian tutte le sfaccettature brillanti, opache, ironiche, perse, lucidissime di un essere umano.



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