di Luigi Ercolani
“Il maestro che uno si sceglie è il primo atto di libertà”. Aldo Braibanti, interpretato da Luigi Lo Cascio, pungola così il giovane Ettore, suo pupillo. Una frase che racchiude in sé una sintesi molto efficace de Il Signore delle Formiche, il nuovo film di Gianni Amelio presentato al Festival del Cinema di Venezia 2022.
Transando sulle polemiche che sono scoppiate durante la Biennale, in quanto non interessanti, si può dire anzitutto che il film è perfettamente in linea con lo spirito che si respira in Laguna negli ultimi anni: autoriale e incentrato su argomenti sui quali l'età contemporanea è particolarmente sensibile. In più, questo film, esattamente come Hammamet, ovvero l'ultima opera del regista calabrese, affronta un pezzo della storia italiana recente, e lo fa in maniera diretta, senza sconti.
Giunti alla fine della visione del lungometraggio, tuttavia, la prima impressione che si ha non è tanto quella di critica sociale a un determinato spaccato storico. Anzi, la critica in questione, pur protagonista durante gran parte dello svolgimento della narrazione, verso le ultime battute lascia il posto ad una imprevedibile, ma comunque gradita, attenzione all'aspetto umano.
Proprio nelle fasi finali della pellicola, Amelio sembra infatti quasi dire che lo scontro tra società perbene e rivoluzionari, tra gretta chiusura religiosa e spirito di rivalsa di ascendenze socialiste, diventa sterile, e persino dannoso, se non lascia il posto a uno sguardo anzitutto verso la persona. Certo, il punto di vista è abbastanza netto, nel definire chi operi per il bene e chi operi per il male, ma allo stesso tempo questa contrapposizione sembra annacquarsi di fronte ai concreti soggetti che sono in gioco, e che soffrono, hanno emozioni, carne e sangue.
Pur dichiarando Braibanti di non sentirsi né mostro né martire, è possibile in realtà scorgere qui una sorta di vocazione al martirio, da parte sua. Ma martire è anche Ettore, che per la sua famiglia da soggetto diventa quasi un oggetto, una sorta di testa d'ariete da usare in una questione di principio, senza rendersi conto che, pur dicendo di volere il suo bene, è proprio il primo a cui fanno del male. Una guerra dalla quale nessuno alla fine esce vincitore, come dimostrato dagli eventi che seguono la conclusione del processo.
Il Signore delle Formiche è dunque sì la rappresentazione di uno spaccato storico dell'Italia che era e per certi versi pure dell'Italia che è, ma anche, e per certi versi anche soprattutto, una riflessione sulla libertà e sulla costrizione, sul vero e sul falso, sul giusto e sull'ingiusto. In altri termini, una riflessione sul Bene e sul Male, due concetti che in un mondo impregnato di relativismo ideologico suonano quasi vetusti, fuori moda, appartenenti ad un'altra epoca, ma che hanno ancora qualcosa da dire all'animo umano. A prescindere, chiaramente, da chi li brandisca.