di Luigi Ercolani
Qualche lettore si ricorderà sicuramente che, all'inizio del 2019, uscì il film La favorita. Diretto da Yorgos Lanthimos, l'undici volte candidato ai premi Oscar di quell'anno offriva uno spaccato intimista del rapporto tra la regina Anna di Gran Bretagna, ultima regnante appartenente alla dinastia degli Stuart, la sua amministratrice Sarah Churchill ed Abigail Hill, cugina di quest'ultima e determinata a salire posizioni nella scala sociale.
In maniera come sempre cruda e senza sconti, Lanthimos definiva un quadro fatto di potere, trame, invidie, sotterfugi e ambizioni. Il tutto girava attorno alla stessa regina, alla quale lo spettatore era posto molto vicino, perché esso potesse accorgersi immediatamente di quanto la donna fosse percepita, da parte di chi le era attorno, come un mezzo per perseguire scopi personali, più che come una persona in quanto tale.
Jeanne du Barry, pur trattando trattando pressoché le medesime tematiche, si configura invece in maniera alquanto diversa. Pur assumendo il punto di vista della favorita Jeanne du Barry, infatti, lo spettatore riesce rimane sempre ad una certa distanza da Luigi XV, rappresentato il più delle volte nelle sue funzioni istituzionali, e raramente (e sempre per poco tempo) nei suoi frangenti più personali.
Quella di uno sguardo tangenziale, superficiale, sul re di Francia, appare una scelta precisa da parte della regista Maiwenn, che assume anche il ruolo della protagonista. La regista e attrice francese, infatti, sembra quasi affermare in maniera perentoria che, per quanto dal basso si possa cercare di ottenere il favore del sovrano (o dei potenti in generale), non si riuscirà mai a penetrare davvero nel loro empireo, a scalfire il mondo volutamente distaccato in cui essi sono inseriti sin da quando nascono, e per tutta la loro esistenza.
Anzi, più qualcuno tenta di farsi largo, o blandendo in maniera suadente e ruffiana chi circonda il regnante e/o lo stesso monarca, o cercando di colpire l'attenzione attraverso un atteggiamento provocatorio e fuori dagli schemi, più questa individualità sarà percepita come una presenza eterodossa, una sorta di virus esterno da estirpare il prima possibile, onde evitare che esso danneggi il corpo, che nel caso specifico sarebbero tanto il re quanto la corte. La quale, nonostante al proprio interno sia attraversata dalle stesse dinamiche malsane di arrivismo e trame, sarà sempre disposta a serrare i ranghi e fare fronte comune per respingere chi non viene ritenuto degno di farne parte, specie se, come in questo caso, di umili origini.
In tal senso, il Luigi XV di Johnny Depp è un elemento definito nel dettaglio per essere perfettamente inserito nel puzzle della prospettiva summenzionata. Bolso, fiaccato dall'età e dalle avventure extraconiugali, il sovrano tende a subire passivamente le prassi della corte, impegnato soprattutto a godersi gli agi di una vita che, essendo vicino alla sessantina, è molto probabilmente consapevole che non durerà ancora a lungo. E verrebbe da chiedersi in modo spontaneo se e quanto le note vicende giudiziarie dell'attore abbiano influito sulla stanchezza e sull'inerzia del personaggio che esso porta in scena.