di Matteo Lolli
Eravamo giovani, ma non invincibili. Eravamo fragili. Scoprivo da un momento all’altro che potevamo cadere, perderci, e persino morire. Proprio quella notte io e Dario ci siamo trovati cosí vicini per la prima volta. A momenti ci giungevano le voci degli uomini intorno a Virginia. E dalla radio notizie gracchianti, il magistrato stava salendo a piedi. A pochi passi da noi: mantieniti forte, diceva mio padre a Osvaldo, appoggiato a una roccia. Non avevo mai visto un uomo adulto con la faccia rigata di lacrime e quella paura negli occhi. Sembrava cedere alla sua stessa altezza, all’ossatura grossa di cui andava fiero. Non avrei piú visto mio padre consolare nessuno allo stesso modo. Ogni tanto guardavo verso i carabinieri e lei tra loro, per ricordarmi che era successo davvero. Tutto quel male, arrivato dove io e Doralice da bambine ci eravamo nascoste e cercate, con le labbra sporche di fragole. Le mettevamo in grosse foglie a forma di scodelle. Per mio padre era il posto piú sicuro del mondo. Piú dell’autobus affollato che mi portava al mare, o della spiaggia con la gente cosí spogliata. Laggiú sí che per lui era pieno di pericoli. Invece l’aveva tradito il suo bosco.
Il libro vincitore del Premio Strega 2024 porta potentemente con sé i segni del presente in cui viviamo: è prima di tutto un libro sui traumi e sulle ferite, e sulla consapevolezza che l’unico modo per rimettersi in movimento dopo e per lenire le ferite stesse sia proprio "elaborarne" l’aspetto traumatico, nonostante ciò richieda inevitabilmente tempo e fatica. È poi una storia sull’importanza delle radici e dei legami, familiari in primis ma anche con luoghi e ambienti. Proprio gli spazi, naturali e umani, hanno largo spazio nella storia, e sono presenti in una duplice veste: sia come veri e propri nidi di origine/d'infanzia sia come luoghi per cui ci si ritrova a transitare quasi per caso nel proprio percorso di vita, che dapprima risultano estranei e che poi "si svelano" in profondità man mano che se ne scopre la storia e vi si prende parte. L'età fragile è infine un romanzo su una condizione fondante e fondamentale dell’essere umano, di cui troppo spesso la società di oggi, quando si appiattisce sui dettami della competitività e della performance, vorrebbe fare a meno: quella della “fragilità” presente sin dal titolo, che – per fugare subito ogni dubbio – non è e non può essere propria di una singola e specifica “età” (troppo riduttivo e banalizzante sarebbe, ad esempio, affibbiarla solo all’adolescenza), ma risulta trasversale e connaturata alle diverse fasi della vita.
Donatella Di Pietrantonio ci presenta, infatti, almeno tre “età fragili” diverse, corrispondenti alle tre figure-chiave della storia: c’è la fragilità di Lucia, voce narrante e madre di Amanda, che fatica a mantenere un canale comunicativo con la figlia, forse perché quando lei stessa aveva la sua età è stata sfiorata da una tragedia da cui ha ereditato una tendenza all’evitamento del dialogo e una certa ritrosia verso il dolore altrui. C’è poi la fragilità della stessa Amanda, che all’inizio della pandemia da Covid torna al piccolo e odiato paese natale (“il niente”, come lo chiama lei), risultando però duramente segnata – più che dal trauma pandemico – da un episodio personale accadutole nella città dei suoi studi, quella Milano dove era corsa in fuga dalle montagne abruzzesi e piena di speranze per il futuro. C’è anche la fragilità nella sua forma “senile”, quella di Rocco, padre di Lucia e nonno di Amanda: figura quasi patriarcale, ruvida e imponente ma al tempo stesso ammorbidita dall’incombere dell’età, in maniera più o meno involontaria porta la figlia a fare i conti con i traumi del suo passato, e al tempo stesso instaura con la nipote un legame confidenziale che sprona anche quest’ultima a confrontarsi con la drammatica storia che continua ad aleggiare sui luoghi di famiglia.
L’autrice è dunque abile a far sì che storie diverse e lontane nel tempo interagiscano tra loro, sviluppandosi in parallelo sotto gli occhi del lettore: Lucia si interroga sui silenzi di Amanda, la figlia che Milano le ha restituito spenta e apatica, e in contemporanea riceve da suo padre la proposta di ricevere in eredità la proprietà di un terreno in cui trent’anni prima è accaduto un evento terribile. Attraverso il sentire, il pensare e soprattutto il “guardarsi indietro” della voce narrante di Lucia, a poco a poco si svelano al lettore tanto le ragioni dell’isolamento di Amanda quanto la consistenza traumatica e terribile del “fatto”, come lo chiamano gli abitanti della valle (che sanno bene come ciò che accadde al Dente del Lupo abbia segnato per tutta la comunità un prima ed un poi). Ma l’intreccio tra i due diversi episodi non riguarda solo la figura protagonista di Lucia: sarà proprio dopo aver conosciuto la “storia rimossa” dei luoghi familiari, di cui nulla sapeva, che Amanda troverà una ragione di riscatto dalla sua personale sofferenza. Forse perché le ferite, per quanto diverse, si riconoscono tra loro, e finiscono spesso per medicarsi reciprocamente: come scrive Murakami, d'altronde, “a unire il cuore delle persone non è soltanto la sintonia dei sentimenti. I cuori delle persone vengono uniti ancora più intimamente dalle ferite. Sofferenza con sofferenza. Fragilità con fragilità”.
L’età fragile indaga con intelligenza e delicatezza la vulnerabilità dei suoi vari personaggi, e così facendo finisce per accompagnare il lettore lungo i sentieri dell’introspezione partecipe e della riflessione sensibile – non senza una buona dose di suspence e mistero a dare alla trama un ritmo serrato e gradevole. La storia risulta così vicina al lettore di oggi nonostante parli di montagna, di vita pastorale e di rapporto uomo-natura: d’altronde, il paesaggio rurale abruzzese per come ce lo presenta l’autrice è tutto tranne che un idilliaco e poco realistico locus amoenus, e le reazioni dell’essere umano di fronte ad un trauma sono simili, che si tratti di una vicenda ispirata al "delitto del Morrone" del 1997 o che l'orizzonte sia quello della nostra società ai tempi del Covid. Una società, molto più delle precedenti, complessa e frammentata, e perciò chiamata ad interrogare da vicino la sua fragilità multiforme: è indubbio che questo L’età fragile – attraverso le storie di Lucia e di Amanda – lo faccia molto bene, riconciliandoci con la nostra natura vulnerabile che troppo spesso (e troppo inutilmente) vorremmo eludere.