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L'invenzione della neve

di Luigi Ercolani

Tra le tante parole spese nel corso della storia in merito all'istituzione famigliare, colpiscono indubbiamente quelle di San Paolo, il quale sostiene: “Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele” (1Ti 5,8). Un'espressione di una durezza a cui oggi siamo difficilmente abituati, e che anzi suonano decisamente anacronistiche in una realtà sempre più secolarizzata che relega la fede all'ambito personale, isolandola il più possibile dal contesto sociale.

Per comprenderle a fondo è tuttavia necessario passare tale affermazione attraverso il filtro di un'epoca, quella antica, fatta di ideali più sentiti e spiritualità più accesa rispetto a quella odierna, e questo al fine di coglierne il significato più profondo che possa parlare anche all'essere umano di oggi. Ecco quindi che, grattando la superficie, emerge un sempiterno richiamo a prendersi cura di ogni elemento della propria famiglia, a operare il bene verso chiunque costituisca per noi un legame famigliare.

Un invito che potrebbe apparire retorico, scontato, moralistico, ma che risulta vieppiù necessario allorché ci si ritrovi in situazioni come quella portata in scena da Vittorio Moroni in L'invenzione della neve. Quello dipinto dal regista di Sondrio è infatti un quadro borderline, in cui manca la disponibilità a venirsi incontro, e prevalgono ego e ansie personali.

Al centro della vicenda c'è Carmen, donna sulla trentina che da bambina fu affidata ad una casa-famiglia, insieme alla sorella Sonia. Mentre quest'ultima è riuscita a costruirsi un percorso personale maturo e solido, la protagonista non ha invece mai abbandonato una tenuta di comportamento largamente inaffidabile, che è all'origine della decisione dei servizi sociali di assegnare la responsabilità ultima della crescita della figlia Giada al padre della bambina, Massimo, lasciando alla stessa Carmen solo un piccolo spiraglio per potersi relazionare con la piccola.

Quando si fa concreta l'eventualità di perdere del tutto la possibilità di perdere la figlia, Carmen, segnata in maniera evidente da serie ferite psicologiche, reagisce in maniera adolescenziale: cerca di ingraziarsi il prossimo con buone azioni che hanno secondi fini, mente sulla condizione personale e sulle sue scelte di vita, e nega con forza l'evidenza. Messa di fronte alle conseguenze delle sue azioni, tuttavia, la protagonista prova a recuperare con una promessa di rimettersi in sesto che, però, suona inattendibile in quanto causata dall'ansia del momento.

Di fronte ad una persona con una psicologia tanto fragile, tuttavia, a mortificare è soprattutto l'atteggiamento dei membri della sua famiglia, che non mostrano alcuna misericordia, alcun sentimento di altruismo volto a ricomporre tanto il quadro personale di Carmen quanto quello famigliare in cui la donna è inserita. Anzi, l'approccio unanime sembra essere quello della condanna, dell'isolamento, di fronte al quale la protagonista reagisce in maniera sempre adolescenziale, generando inevitabilmente una spirale negativa.

Quanto possiamo cogliere da L'invenzione della neve è quindi un incoraggiamento ad avere uno sguardo compassionevole verso il prossimo, in particolare verso quei membri della famiglia che necessitano di un aiuto in più, di un po' di indulgenza in più. Nell'epoca dell'inclusione spesso posticcia o di comodo, la vera accoglienza si attua anzitutto a partire dal contesto famigliare.

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