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L'invenzione di noi due

di Luigi Ercolani

Tra le moltissime espressioni che sono state dedicate all'amore, in ogni sua declinazione e attraverso qualsiasi tipo di mezzo artistico, quella forse più famosa è quella di Dante Alighieri del canto V dell'Inferno della Divina Commedia. Come certamente ricorderà anche il lettore, è infatti in tale frangente che il letterato fiorentino mette in bocca alla sua Francesca da Rimini le parole: “Amor ch'a nullo amato amar perdona”.

Una dichiarazione poetica, che cesella l'ineluttabilità del sentimento d'amore quando due persone ne sono prima toccate e poi, via via, sempre più coinvolte, anche contro la loro stessa iniziale volontà razionale. Proprio per questo motivo, tuttavia, essa suona allo stesso tempo anche come una sorta di una resa incondizionata, di bandiera bianca di fronte ad una forza molto più grande, più radicata, più resistente (oggi si direbbe anche “resiliente”) rispetto a quanto una persona desidererebbe, specie nei momenti di incomunicabilità che ogni coppia inevitabilmente attraversa.

Ma come affrontarli tali periodi, lunghi o brevi che siano? Come tanti altri prima di lui, e sicuramente tanti altri che in futuro verranno, anche lo scrittore Matteo Bussola ha provato a dare una risposta a questo quesito attraveros il suo libro L'invenzione di noi due, che Corrado Ceron, al secondo lungometraggio in carriera dopo Acqua e anice (2022), ha poi tradotto in termini cinematografici.

A livello di temi, bisogna sottolineare come il regista vicentino si sia abbastanza attenuto a quelli tipici di genere di film, portando sullo schermo una dinamica classica, ovvero una coppia sposata di lungo corso che ad un certo punto inizia scricchiolare, a non essere più sulla stessa lunghezza d'onda. Ciò accade verosimilmente perché i due protagonisti all'inizio di tempo se ne sono dati poco, lasciandosi trasportare dal sentimento e non verificando che ci fossero effettivamente le basi strutturali, soprattutto a livello di compatibilità caratteriale, per pensare sul lungo periodo in termini di coppia.

È proprio qui che lo spettatore li trova, in una sorta di situazione da separati in casa, da persone che coabitano ma di fatto non convivono, respinti dalle rispettive ritrosie come fossero due magneti posti di fronte. La guerra non scoppia solo per quieto vivere, che però è in realtà un quieto morire della relazione, che in generale deve essere anzitutto un interscambio continuo, anche ostile se necessario, ma sempre nell'ottica di un cammino insieme.

Milo e Nadia si sono invece auto-intrappolati in un avanzamento per inerzia, forse per paura di rimanere soli.Ceron, tuttavia, non si limita a fotografare la situazione de facto, ma ponendo l'uno accanto all'altro piani temporali differenti, il regista mette in mostra tramite contrasto i processi che hanno portato i due alla situazione in cui si trovano nel tempo narrativo attuale.

Sulle prime una messa in scena così discontinua potrebbe apparire nevrotica, ma in realtà risulta perfettamente coerente con un percorso umano, quello amoroso, che difficilmente è lineare, e che viceversa vive di alti e bassi, di passi avanti e passi indietro. Proprio in virtù di questo continuo movimento, non è possibile trarre un significato da L'invenzione di noi due se non una volta arrivati alla conclusione, allorché il puzzle discontinuo prende forma quando i pezzi trovano una loro giusta collocazione. Proprio come succede a tante storie d'amore.


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