di Maria C. Fogliaro
A Liberty City tutti lo chiamano «Little» (Piccolo). È uno dei tanti ragazzini che popolano il malfamato sobborgo di Miami, con la più alta concentrazione di afroamericani del Sud della Florida; un ambiente degradato e machista, dove non ci sono «bianchi» e i «neri» si odiano tra di loro. Senza padre e con una madre tossicodipendente, Chiron (Alex R. Hibbert) − questo il suo vero nome − trova un punto di riferimento in Juan (Mahershala Ali, meritato vincitore dell’Oscar 2017 come Miglior attore non protagonista), un afrocubano a capo di una banda di spacciatori, che − insieme alla sua fidanzata Theresa (Janelle Monáe) − inizia a interessarsi al bambino con l’affetto di un genitore. Crescere è difficile per tutti, ma lo è ancor di più se il percorso riguarda, come nel caso di Chiron, un afroamericano povero e senza una famiglia alle spalle. Un bambino taciturno e fragile, che inizia a porre a se stesso e a Juan − l’unico adulto che si preoccupa di ascoltarlo − domande sulla propria sessualità.
Bersaglio preferito dei compagni di scuola fin dall’infanzia, dai quali viene costantemente picchiato e deriso, Chiron (ora interpretato da Ashton Sanders) attraversa l’adolescenza senza potersi realmente dischiudere alla vita, e capisce presto e a caro prezzo che se vuole sopravvivere deve erigere difese impenetrabili. Dopo aver imparato ad atrofizzare i sentimenti e a negare i propri impulsi omosessuali per difendersi dalla violenza, in una nuova città − ad Atlanta − rinasce come «Black»(Trevante Rhodes), il tipo umano del «duro», l’unico che può abitare una società ingiusta e brutale, e sperare in qualche modo di sopravvivere − pur mettendo sempre in conto la possibilità di una morte violenta e precoce −.
Basato sul romanzo In Moonlight Black Boys Look Blue di Tarell Alvin McCraney, scritto e diretto da Barry Jenkins, vincitore del Premio Oscar 2017 come Miglior film, Moonlight (USA, 2016, 110’) porta in scena un dramma diviso in tre parti, che va dall’infanzia alla prima età adulta del protagonista. E che racconta − anche attraverso la bella fotografia dai toni pastello di James Laxton e alla colonna sonora di Nicholas Britell − quanto affannosa e complessa sia per un individuo la costruzione della propria identità in un mondo ai margini, dove, alle difficoltà che di solito costellano la giovinezza, si vanno ad aggiungere violenze e tabù ai quali si può sperare di sfuggire soltanto negando se stessi.
Proprio quello che Chiron fa trasformandosi in «Black» e cercando nella vita pericolosa, ma socialmente accettata, dello spacciatore di strada il riconoscimento della propria identità. Un equilibrio fragile pronto a rompersi quando l’incontro con Kevin (Andre Holland), un vecchio compagno di scuola, l’unico uomo con il quale abbia mai avuto un contatto sessuale, lo costringe a fare i conti con il proprio dolore, con i propri desideri repressi, e ad aprire quell’enigma che egli è diventato − estraneo per primo a se stesso −, per darsi finalmente la possibilità di vivere davvero.