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LA FIN DE SIÈCLE NELLA PITTURA DI GIOVANNI BOLDINI


di Maria C. Fogliaro, 14 marzo 2017


Le donne, l’eleganza, il lusso, la joie de vivre, il fervoroso ottimismo, l’attualità palpitante della Belle Époque: è nel clima spensierato dell’Europa fin de siècle che si entra visitando la spettacolare rassegna dedicata a Giovanni Boldini (1842−1931), curata da Tiziano Panconi e Sergio Gaddi, e allestita al Complesso del Vittoriano a Roma fino al 16 luglio 2017.


Con circa centocinquanta opere − affiancate da quelle di artisti a lui contemporanei, fra i quali Cristiano Banti, Giuseppe De Nittis, James Tissot, Antonio de La Gandara − l’esposizione documenta il percorso creativo del pittore nato a Ferrara e affermatosi pienamente in Francia, a Parigi, dove visse dal 1871 fino alla morte.


L’itinerario affronta l’influenza, ma anche il distacco, dai macchiaioli fiorentini nelle opere prodotte fra il 1864 e il 1870, come nel Ritratto di Diego Martelli (1865), nel Ritratto del padre Antonio Boldini (1867), nel Ritratto di Alaide Banti in abito bianco (1866), o in Il paggio. Giochi col levriero (1869). Dopo un importante viaggio a Londra nel 1870, dove eseguì piccoli lavori influenzati dalla ritrattistica inglese di fine Settecento, il trasferimento a Parigi, la collaborazione con la Maison Goupil, e la forte richiesta da parte della ricca borghesia lo impegnarono per qualche tempo nella produzione di quadri di genere e di costume, ispirati a un Settecento galante e a scene di vita quotidiana, e di vedute di piazze e strade della capitale francese, come in Place Clichy (1874), Coppia in abito spagnolo con due pappagalli(1875) − un omaggio al pittore Mariano Fortuny −, L’amazzone (Alice Regnault a cavallo) (1878-1880).


Al cuore dell’esposizione le creazioni che vanno dagli anni Ottanta dell’Ottocento agli anni Venti del nuovo secolo con una produzione pittorica incentrata sui paesaggi − come La colonnade a Versailles(1889), Il vecchio mercato di Firenze (1882), Navi a Venezia (1887) −, e sulla Parigi pullulante di vita ed effervescente capitale mondiale dell’arte e del costume, come vediamo, ad esempio, in Lo strillone parigino (c. 1880), Innamorati al caffè (1887), Il bar delle Folies Bergère (1885), Parigi di notte (Paris la nuit) (1885).


Sono soprattutto i ritratti, che interpretavano i gusti dell’aristocrazia e della borghesia industriale e finanziaria europea e americana, a imporlo come artista di rilevanza internazionale. Fu, infatti, l’incontro nel 1874 con la contessa Gabrielle de Rasty, sua musa e amante, ad aprire a Boldini le porte del bel mondo, e a dare inizio a una carriera folgorante e altamente remunerata, che lo consacra − insieme a De Nittis, Whistler, Sargent, Jacques-Emile Blanche, e altri − come uno dei pittori maggiormente rappresentativi del society portrait.  Ne sono un esempio i ritratti presenti in mostra di Gertrude Elizabeth, Lady Colin Campbell (1894), il Ritratto di Madame Charles Max (1896), il Ritratto di Giuseppe verdi seduto (1886), il Ritratto di signora in bianco con guanti e ventaglio (1889), e su tutti il Ritratto di Donna Franca Florio (1901-1924), la «regina di Sicilia» immortalata da Boldini con la lunghissima collana di perle, dono del marito Ignazio Florio, su un sensuale abito nero.


Cantore del lusso e della leggerezza di un’epoca che sarebbe stata sepolta per sempre dall’avvento della Prima guerra mondiale, Boldini seppe certamente assecondare le tendenze del proprio tempo e rispondere alle richieste di una borghesia aggressiva e in ascesa, desiderosa di imporsi anche trasmettendo un’immagine fatta di eleganza e di aristocratico distacco. Furono le donne − mogli, figlie, e amanti − a incarnare questo desiderio e a diventare il centro del nuovo status, che il pittore ferrarese, con pennellate dal ritmo incalzante paragonate a «sciabolate», tradusse in spettacolari ritratti collocati in ambienti dalle atmosfere rarefatte e dall’eleganza sofisticata e suntuosa.  Per quanto a volte convenzionali e di maniera, e più felici nella resa degli abiti che delle espressioni,  i ritratti di Boldini furono tuttavia capaci di comunicare e imporre il mito di una donna inaccessibile, misteriosa e flessuosa, ma anche emancipata e consapevole del proprio posto nel mondo, forte della propria giovinezza e velatamente ammiccante alla trasgressione.



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