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LA TRUFFA DEI LOGAN


di Lorenzo Meloni

Quando entriamo al cinema speriamo sempre di essere sorpresi, che quello che vedremo ci colga impreparati, ma chissà perchè ci crediamo poco. Non nel caso di Steven Soderberg: se lo stesso regista può scuotere le coscienze d'America con il dramma e l'impegno (Erin Brokovich, ma anche Traffic), bombardare il suo pubblico di azione adrenalinica come in Ocean's Eleven e relativi sequel e poi chiedersi nelle foreste della Bolivia per una biografia in due parti e cinque ore di Ernesto "Che" Guevara, da lui si può davvero aspettarsi tutto.

Vedendo i trailer dell'ultimo film ci eravamo preparati ai fuochi d'artificio (rapina più gara automobilistica più quel poker d'attori?). Non potevano suggerirci che Logan Lucky - "scusate" il titolo originale ma oltre ad avere un brutto adattamento italiano di truffe nel film non c'è l'ombra - rinnova per l'ennesima volta un cinema anomalo, brioso e a suo modo militante confermando Soderberg nel suo ruolo di sornione pamphleteer.

Jimmy e Clyde Logan (Channing Tatum e Adam Driver), uno un operaio licenziato di fresco e con bambina affidata alla ex-moglie a cui fa visita quando può, l'altro veterano di guerra in Iraq e in seguito a una mina miglior barista con un braccio solo in città, organizzano una rapina. Non a una banca ma al Charlotte Motor Speedaway, il circuito automobilitico del nord Carolina. Li aiuteranno l'evaso Joe Bang (un'incredibile Daniel Craig ossigenato) e i suoi due stralunati fratelli. Il piano è perfetto, ma basterà a spezzare la "maledizione dei Logan"?

Il film inizia con un aneddoto sulla genesi della canzone preferita di Jimmy, Country Roads di John Denver. E la conclusione è che sì, gli piace perchè è un bel pezzo. Ma soprattutto perchè ha una storia alle spalle. Soderbergh si intromette fin da subito e impedisce allo spettatore di abbandonarsi completamente al disimpegno. Il suo non è solo uno scherzo elaborato. C'è una posta in gioco. Quando ai fratelli Bang (Brian Gleeson e Jack Quaid) viene chiesto di unirsi alla banda in una sequenza esilarante, non si informano sul compenso. Pretendono una ragione morale.

E non sono i soli. Nel microcosmo rural-proletario del film ogni simpatica canaglia ha un conto in sospeso con la società. La ex di Jimmy sta per trasferirsi oltre il confine del West Virginia (dove "anche John Denver in realtà non è mai stato") rendendogli ancora più difficile vedere la figlia, mentre la scusa addotta per il suo licenziamento - una lieve zoppìa non invalidante - ha tutta l'aria di una balla mal raccontata. Clyde ha sacrificato un braccio al suo paese, e ha avuto in cambio una brutta protesi di legno. Joe Bang fa tutta una tirata sul fatto che in galera gli danno sale a basso contenuto di sodio per la pressione, quindi non "sale vero".

E sempre di più ci accorgiamo, anche prima della sorpresa finale, che il problema non sono tanto, o non solo, i soldi. Il problema è la verità, in ogni possibile declinazione del termine. Logan Lucky attacca la civiltà dell'immagine come palliativo a una distanza sempre più lancinante, fra gli uomini e il loro paese o all'interno dei nuclei familiari (il film è in fondo - fin dal titolo - una storia di famiglie). Pullulano le gag sui cellulari e le storie instagram, fino al picco geniale dei rivoltosi in galera che pretendono come condizione per la resa una copia di ogni nuovo romanzo del Trono di spade di G. R. R. Martin, ignari che la società li ha beffati ancora una volta e i libri non sono usciti.

Il mostruoso, strombazzante circuito automobilistico è perciò sotto metafora l'intera nazione, con una linearità (per dirla all'americana) anche troppo in-your-face. Vale per tante cose del film, che dopo il proclama iniziale sul messaggio sopra la forma non teme nemmeno per un secondo di esporsi, di spiegarsi, se necessario di semplificare. Ma per uno che fin dal 1989 (Sesso, bugie e videotape) fracassa telecamere e discute il valore dell'audiovisivo, Soderbergh fa cinema maledettamente bene. Logan Lucky ne è l'ennesima riprova. Imperfetto e monco, sì. Ma palpitante e vero.



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