di Lorenzo Meloni
"Netflix produce un poliziottesco" - basta il suono delle parole a generare un piacevole senso di straniamento; è una nuova iniezione di euforia in questi mesi di colpi di mano inaspettati (in sala "il campione" con cui addirittura osiamo un film sportivo, mai stato il nostro forte) - che se ancora non danno il senso di quel sospirato "ritorno del cinema di genere" dicono che c'è voglia di storie, le idee scoppiettano, insomma, "si può fare!". In altri casi avremmo specificato che questo costituisce motivo di interesse "al di là del film in sé", che è la cosa da dire prima di entrare nel merito. Ma più si riflette (ridacchiando) su Lo spietato e più è chiaro che è proprio questo il merito, che il senso dell'operazione è semplice e liberatorio come l'idea stessa di tornare da italiani a girare sparatorie, inseguimenti e rapine, e da italiani farcela. Anzi farla franca.
Niente di strano, era la cifra del nostro approccio al genere fin dall'inizio. Furbi, sgraffignari. Avventurosi ma non cavalieri, come gli antieroi dei nostri Western che dormono con un'occhio solo e tengono pronta la colt anche nella vasca da bagno, veri antesignani (guardate il titolo!) dello Spietato del film di Renato De Maria. John Ford "faceva Western". Noi - a mille chilometri dalla Monument Valley - Western "all'italiana", cioè denoartri, alla buona, come si poteva. E guarda cos'è venuto fuori dallo spirito d'iniziativa, dall'osservazione stupefatta di una civiltà di Cowboy Saloon e ferrovie, "aliena" per noi come la Milano del Boom per il meridionale Riccardo Scamarcio, assimilata esattamente come fa lui in questo film con le parole francesi e inglesi della gente bene: da parvenu goffi ma creativi, e alla resa dei conti irresistibili. Sa va sans dir.
Non solo gangster allora. Lo Spietato rimurgina sul cinema italiano in senso ampio, attento soprattutto a tappe e forme della sua legittimazione internazionale. Se la locandina di "Il buono, il brutto, il cattivo" campeggia sul muro a cui si appoggia per amoreggiare con una prostituta il giovane e non ancora delinquente Santo Russo (Scamarcio) - gli Spaghetti che sconvolsero il mondo - l'arrivo della famiglia Russo alla stazione di Milano (facce vissute, filtro seppia, vapore, urla, bagagli) è un concentrato monodose del melodramma storico che ci ha resi grandi commovendolo, dal Neorealismo a Rocco e i suoi fratelli, da Bertolucci a Tornatore e a Benigni, fino a quella scena del secondo Padrino (cercatelo anche in colonna sonora) in cui Coppola incontrava il passato sui moli di Ellis Island.
Poi il Poliziottesco - e come no? Da un romanzo che si intitola Manager Calibro 9...vero, anche negli ultimi anni qualche Oscar si è vinto, qualche film ha fatto parlare, qualche nome è riuscito a imporsi. Ma sono stati sprazzi di gloria in un panorama che - se non proprio desolato come lo vorrebbero i più cinici - ha ovviamente visto giorni migliori. Forse allora, più che singoli successi resi effimeri dall'inconsistenza del sistema, il maggior conforto l'ha dato oltreoceano la crociata personale di Quentin Tarantino & Co per la rivalutazione di Bava, Fulci, Castellari, Di Leo, che per feticistica, enfatica e a volte gratuita che si potesse trovarla, ha comunque dato idea che ci fosse ancora un cinema italiano da (ri)scoprire.
In verità, Lo spietato ha ben poco da spartire con Milano calibro 9 o La mala ordina. Di Leo scavava a fondo in quell'Italia tesa allo spasmo, e allora certo il milieu, Stato e Mafia collusi, l'onore calpestato, la rabbia repressa che esplode nel sangue. Qui (ma l'abbiamo detto che è un film da ridere?) dell'Italia interessa essenzialmente il cinema, quello che fu, mentre si guarda a quello che (si spera) sarà, ammiccandogli come simpatiche canaglie a una signora, senza la sicurezza di andare in buca. Naturale farlo con toni di commedia: un po' perché fa sentire leggeri l'idea di risalire una china che - apocalittici o no - più giù non sembrava poter scendere. Poi perché la commedia ha un ruolo principe nella storia che fra le righe si racconta, ultimi ma non ultimi gli anni in cui ha finito per coincidere, agli occhi di troppi, quasi col polo negativo di una dicotomia fra cinema italiano (questo) e Cinema Italiano (quello). E se nel terzo atto bisognava forse scegliere con più decisione se tornare "seri" o dissacrare fino in fondo, è lo stesso difficile resistere a un uomo in vestaglia di seta che fuma il sigaro come Scarface, con la Madonnina del Duomo a dirgli beffardamente "The World Was Yours".