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Maigret

Aggiornamento: 8 ott 2022

di Luigi Ercolani


Premessa: quella del commissario Maigret è una figura trasversale. Se il detective più famoso del mondo, e di conseguenza il più rappresentato su grande e piccolo schermo, risponde al nome di Sherlock Holmes, va però evideziato come il segugio di Baker Street sia un personaggio tipicamente legato al contesto culturale inglese, o comunque anglofono.

Maigret, d'altro canto, è forse il detective più europeo del panorama poliziesco. In Italia il suo volto è quello rubicondo, tipicamente emiliano, del grande Gino Cervi, in Francia è quello di Bruno Cremer e Jean Gabin, nei Paesi Bassi quello di Jan Teulings, in Russia quello di Boris Tenin e così via, in un elenco corposo che tocca persino la Gran Bretagna con Rupert Davies e, più recentemente, Rowan Atkinson.

Perché questa trasversalità? Presumibilmente perché le avventure del commissario Maigret sono ambientate a Parigi, che più di tutte potrebbe essere considerata la capitale d'Europa, anche più di una Londra che in fondo si colloca, sia geograficamente che culturalmente, tra le due sponde del mondo occidentale. La ville lumiére si trova, invece, proprio nel cuore dell'Europa, della quale rappresenta un punto di riferimento naturale a livello storico e filosofico.

E proprio Parigi è una prima, vera, protagonista del film di Maigret diretto da Patrice Leconte. La fotografia del film restituisce una città lugubre, fredda, come solo la capitale francese sa essere nei mesi autunnali e invernali: uno scenario cupo che ben riflette l'umore e il carattere di un ispettore che è altrettanto cupo, imbronciato, afflitto a livello fisico dal lento e progressivo avanzare dell'età, e a livello psicologico da traumi non ancora metabolizzati, e anzi, forse non superabili.

Parigi è Maigret e Maigret è Parigi, dunque: una corrispondenza tra essere umano e territorio che fa sì che le sollecitazioni del primo producano puntualmente dei feedback da parte del secondo, pur se non immediati o di immediata comprensione. Il commissario agisce come una sorta di medico, che sa dove tastare il paziente per ottenere una risposta che gli permetta di coglierne i sintomi, stando bene attento a variare il tipo di input a seconda che abbia a che fare con l'alta borghesia, con i bassifondi o con tutte le gradazioni che stanno in mezzo a questi due poli.

Per poter fare ciò il film sceglie una narrazione lenta ma non compassata, che si prende il tempo di mettere nel corretto ordine tutti i pezzi del puzzle. Leconte accompagna mano nella mano lo spettatore, quasi ponendolo accanto a Maigret nella ricerca dell'omicida della giovane vittima, e lo fa in modo talmente appassionante che, quando si arriva alla conclusione, chi guarda prova quasi un disorientamento nell'essere giunto allo svelamento.

Una sensazione che inevitabilmente testimonia la bontà di questa nuova trasposizione di Maigret. Ovvero di un personaggio che, come pochi altri, sa travalicare i confini di tempo e spazio, parlando in modo sempre fresco allo spettatore.


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