di Luigi Ercolani
Dopo la fortunata serie di film Smetto quando voglio, infatti,Sydney Sibilia ha confezionato un altro colpo ad effetto, portando sul grande schermo una storia che per certi versi simile, e per altri invece nettamente diversa, rispetto a quanto mostrato nella suddetta trilogia. Il regista salernitano, ha infatti ribaltato le dinamiche che hanno caratterizzato la sua precedente produzione: se i tre Smetto quando voglio erano una sorta di Breaking Bad condensata e declinata nel contesto romano, in questo caso Sibilia ha invece narrato un pezzo misconosciuto, ma reale, della storia del nostro paese.
Per la precisione il caso è quello dei fratelli Frattasio, originari del quartiere Forcella di Napoli, che sul finire degli anni Ottanta misero in piedi un sistema di contraffazione di musicassette che ben presto generò entrate capaci addirittura di tenere testa alle major discografiche. La vicenda, che già di per sé ha dell'incredibile, assume un tono ancora più surreale se si considera che tutto ciò partì da un semplice ripostiglio, per giunta con la sola tecnologica analogica che i tempi permettevano.
Sibilia si attiene fedelmente ai racconti fatti dai Frattasio, e mostra con dovizia di particolari che qualcosa partito come una semplice attività personale, motivata dalla passione per la musica, passo passo finì per evolversi in un giro d'affari milionario, con tanto di laboratori (siti in case private) e dipendenti, che spesso nemmeno i tre fratelli conoscevano, come hanno riportato loro stessi. Com'è naturale, tuttavia, le grandi case di produzione musicale non digerirono una concorrenza tanto sleale e ai margini dell'illegalità, così dichiararono ai Frattasio una guerra che si concluse solo con il loro arresto.
E proprio qui c'è un interessante punto di contatto tra Mixed by Erry e Smetto quando voglio. In entrambi i casi, infatti, ci troviamo di fronte ad un gruppo di protagonisti che fatica a sbarcare il lunario in quanto oppresso da un sistema che permette di crescere solo a chi dispone di agganci.
L'unico modo per sopravvivere a questa struttura perversa e oppressiva appare quindi quello di muoversi ai margini della legalità, che via via giunge per inevitabilmente a sconfinare nel reato. Una moralità relativa, quindi, che stigmatizza non tanto certi comportamenti, ma la perdita del controllo, e delle dimensioni, che può derivare da essi.
In entrambi i casi, tuttavia, l'accento viene posto sul fatto che il vivere di espedienti affonda le radici nella necessità di tenere quantomeno il naso a pelo d'acqua, per non affondare in un contesto sociale che non si interessa degli ultimi. È curioso, in questo senso, che temporalmente le due produzioni si collochino rispettivamente sul finire di un decennio, gli anni Ottanta, che ha visto l'Occidente promuovere una deregulation selvaggia, e dopo la crisi del 2008, che fu conseguenza diretta di quell'incontrollato contesto liberista nato proprio una ventina d'anni prima.
Guardando alla composizione complessiva delle due storie, Sibilia sembra quasi dire allo spettatore che in tali circostanze per resistere si deve far leva sul gruppo, sulla commistione di capacità personali messe a disposizione di un'idea di insieme. Il vecchio adagio “L'unione fa la forza” qui non risulta quindi stucchevole retorica, ma significativa collaborazione di fronte ad un quadro sociale che non mostra alcuna volontà di dare una chance gli ultimi, schiacciandone anzi la dignità stessa della vita.