di Lorenzo Meloni
Inghilterra, la più zeppa di black humour che possiate immaginare. Venticinque anni, aspirante scrittore, William (Aneurin Barnard) ha alle spalle già ben dieci tentati suicidi. Ok 7, le altre tre volte faceva finta. Sembra Harold e Maude - il cui allampanato protagonista adolescente tentava inutilmente di attirare l'attenzione dei grandi con impiccagioni, salti nel vuoto e pallottole. Come il film del 1971, Morto tra una settimana...o ti ridiamo i soldi è un apologo dolceamaro sul valore dell'esistenza, l'amore e la vecchiaia, ma a partire da una visione meno sorniona e più autenticamente nichilistica, si direbbe alleniana, malgrado i numi tutelari siano i maestri della comicità british.
Rispetto a Harold, la ricerca di attenzioni di William è legata a un problema di ego nonostante le apparenze meno trasognato, meno filosofico e meno da teenager, quello di chi si affaccia al mondo del lavoro e della competizione, inaggirabile per tutte le generazioni ma particolarmente per questa a cui il lavoro manca e che nasce e cresce nell'epoca dell'autoaffermazione da social network. Il commentario sociale non frena il film dell'esordiente Tom Edmunds dall'essere prima di tutto una stralunata e divertentissima commedia nera, nè va a detrimento della sua trasversalità: William non è solo con il suo male, e il gap generazionale è notevole..
Sempre a differenza di Harold, alla fine si decide a fare le cose per bene. Durante l'ultimo tentativo, mentre stava per saltare da un ponte, un misterioso avventore col volto ammantato di tenebra gli ha lasciato il suo biglietto da visita ("posso aiutarti io.."). Si chiama Leslie (Tom Wilkinson), splendido settantenne e impiegato di un'organizzazione di killer a pagamento che - previo contratto - praticano eutanasie nei modi più disparati, selezionabili a gusto del cliente da un ricco catalogo. In una scena da..morire dal ridere che il film, pur sempre su buoni livelli, non riuscirà più ad eguagliare, il contratto viene firmato. E non è rescindibile per nessun motivo.
Molto molto male, perchè proprio quando è tutto pronto (biglietti d'addio compresi) salta fuori che una casa editrice è interessata al suo libro-verità Le mie molte morti e che per di più che l'agente che dovrebbe rappresentarlo (Freya Mavor) è giovane, carina e profonda - il suo tipo insomma. Will cerca in tutti i modi di ritrattare ma Leslie è inarrestabile, anche se forse un po'..arrugginito.
Il gioco di Morto fra una settimana è semplicissimo: contrapporre (con garbo e cortesia da veri gentlemen) due anime simili. Mentre la moglie (una grande Marion Bailey), dolcissima e perfettamente al corrente del suo sanguinario mestiere, lo conforta e si allena giorno e notte per la sua gara di ricamo, Leslie teme il pensionamento. Era il più grande killer del mondo negli anni '70 ma oggi fatica a raggiungere la quota minima annuale, e se non la raggiunge gli daranno il benservito. "Questi stranieri" gli rubano il lavoro (l'impiegato dell'anno è Ivan il russo), le mani gli tremano con conseguenze apocalittiche. William è l'ultima vittima che manca per tirare il fiato.
In questo senso i due sono ovviamente "gemelli", all'inseguimento di una realizzazione che si teme non arrivi o sfugge con il procedere degli anni, e - qui la sferzata politica è un po' più difficile da passare in secondo piano - rappresentanti di due generazioni in rapporto disarmonico e conflittuale. Morto tra una settimana indora la pillola (non perchè il quadro non sia desolante) sia facendo valere l'adagio per cui i grandi comici sono sempre i più grandi tragici (come teorizzava il Woody Allen di Melinda & Melinda), sia tirando fuori un cuore d'oro, un sentimentalismo sincero e commosso che a un certo punto farà quasi passare la vicenda di Will in secondo piano rispetto a quella di Leslie e della moglie. Se anche il ritmo è un po' discontinuo - folgoranti inizio e fine, un leggero calo al centro - e malgrado qualche schematismo, un cocktail del genere indica l'emergere di un piccolo talento.