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Primi due giorni della Mostra del Cinema di Venezia




di Lorenzo Meloni


Cominciamo la nostra giorno per giorno dalla Mostra del Cinema di Venezia: i film (in numero compatibile con le possibilità di una sola persona) brevemente recensiti per documentare quest’edizione così particolare dello storico festival.

2 settembre HONEY CIGAR (Giornate degli autori) Dentro e fuori a Parigi e Algeri: apre le Giornate degli Autori il film di Kamir Aïnouz, primo diretto da una donna a ricevere questo onore nella storia della Mostra. È un esordio promettente, con la regista che attinge alla vera storia della propria madre per raccontare il dilemma vissuto "sulla mia pelle" da Selma, Algerina trapiantata in Francia che deve fare i conti con la sua doppia identità giostrando fra tradizione e istanze emancipatorie. Colpisce per sincerità e dolcezza, evidenti in un racconto di conflitto che non si fa mai banale dicotomia, nonchè per la capacità di mischiare dramma privato e ricognizione delle forze storiche che agiscono attraverso i personaggi (siamo nel 1993, l'Algeria è sull’orlo di una rivoluzione teocratica). Ma il suo maggior merito di è probabilmente quello di rinverdire il topos emancipatorio della scoperta del sesso: "per fare l'amore bisogna essere in due", e proprio la natura sofferta del suo rapporto con la sessualità rispecchia e sintomatizza l'animo scisso della protagonista. Da tenere d'occhio. NIGHT IN PARADISE (Fuori concorso) Dopo aver rifiutato di abbandonare il suo clan per unirsi a quello rivale, un gangster si vede uccidere sorella e nipote. In cerca di vendetta, scoprirà che niente è come sembra..Alberto Barbera l'aveva presentato come "una rivelazione, il biglietto da visita di un grande autore di domani". Francamente l'entusiasmo pare malriposto: dopo un inizio promettente fra neon grigio-azzurri e accoltellamenti nelle saune stile La promessa dell'assassino di Cronenberg - e a parte un divertente abbozzo di discorso generazionale sull'impudenza di giovani irrispettosi di ogni gerarchia anagrafica - di interessante resta poco o nulla, con un po' di sano divertimento action/splatter annegato in uno script tutto lungaggini e banalità. 3 settembre MILA (Orizzonti) Stralunate peripezie di un uomo che ha perso la memoria, e seguendo le istruzioni dei dottori reimpara piano piano ad affrontare la quotidianità. Più che alla sua ricerca di se stesso gli autori sembrano interessati a ritrarre una società amnesica tout-court, una perdita generalizzata di punti fermi familiari, lavorativi, affettivi. Ma non è un film deprimente, perché lo spaesamento è continuamente controbilanciato dalla curiosità che accompagna la riscoperta, da una certa leggerezza del suo "perdersi nel mondo". Quel che forse gli manca, malgrado il talento degli interpreti e la regia sicura, è la capacità di dare peso a una narrazione un po' troppo episodica, che come le vecchie/nuove scoperte del protagonista fatica a caricarsi di senso e imprimersi nella memoria. LACCI (Fuori concorso) Daniele Luchetti sbarca al Lido di Venezia e sorprende con un melodramma adulto e complesso, tratto dal romanzo omonimo di Domenico Starnone e interpretato con giusta verve da un grande cast (fra gli altri Luigi Lo Cascio, Alba Rohrwacher, Silvio Orlando, Giovanna Mezzogiorno). Saga familiare spalmata su quattro decenni, dalla Napoli degli anni '80 alla Roma di oggi, questa storia di ferite, abbandoni e continui ripensamenti fra una coppia in crisi e i loro due bambini traccia un quadro spaventoso di nevrosi e non detto, riuscendo nella difficile doppia impresa di farci empatizzare con tutti i protagonisti senza fare sconti a nessuno. Luchetti affila gli artigli, osa una cronologia a incastro per una volta non superficiale e giustificata, ritrova il terreno fertile (e velenoso) della miglior tradizione italiana. THE BOOK OF VISION (Settimana della critica/fuori concorso) Uno dei film più attesi della Mostra, è la delusione finora peggiore. Eva (Lotte Verbeek), ex oncologa riconvertitasi allo studio della storia della medicina, si appassiona alla vicenda del medico settecentesco Johan Anmuth (Charles Dance, bravissimo ma sprecato) esponente della disciplina nel suo momento di passaggio da "arte dell'ascolto" a fredda scienza dei corpi. Ambizioni smisurate da parabola spirituale alla Malick (produttore esecutivo, citato con l'apparizione di un poster di La rabbia giovane) si accompagnano a una scrittura risibile, incapace di giostrare il continuo viavai fra differenti piani temporali, mentre visivamente il film si presenta come un mix malriuscito di period e fantasy. Non aiuta un cast di contorno particolarmente fuori fuoco.

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