Di Lorenzo Meloni
Anno 2045. Sovrappopolazione, inquinamento e guerre hanno messo definitivamente in ginocchio il pianeta, ormai ridotto a un'immensa baraccopoli. A chi non ha voglia di ricordarsene basta indossare un visore elettronico per trovarsi catapultato nello strabiliante mondo di Oasis, videogame/realtà alternativa in cui praticamente tutto è possibile. E così fra battaglie al plasma e inseguimenti mozzafiato, upgrade di ogni tipo e variopinti cambi di look, quasi tutti ormai passano più tempo nel proprio Avatar che fuori. Ma un giorno si diffonde la notizia della morte del geniale programmatore James Halliday (Mark Rylance), che lascia l'umanità con un enigma. Tre missioni, tre chiavi magiche da conquistare per mettere le mani su una ricompensa inestimabile e sulla soluzione al mistero della sua vita..
L'ultima volta che Steven Spielberg si è fatto sentire due volte in un anno era il 1993. La natura dei due film, si è detto, rifletteva una schizofrenia tipica della sua generazione (Coppola in primis), quella fra grande spettacolo hollywoodiano e cosiddetto "cinema d'arte", in Spielberg fin da Il colore viola legato a doppio filo a grandi temi sociali e civili. I novecentonovanta milioni ai botteghini di Jurassic Park da una parte, la pioggia di riconoscimenti e il sospirato status di autore "serio" con Schindler's List dall'altra. Ma era una semplificazione, e il regista di Cincinnati ce lo dimostra paradossalmente proprio quest'anno in cui, di nuovo, propone a pochi mesi di distanza il racconto storico adulto di The Post e il divertimento scatenato di Ready Player One.
In apparenza i due film non potrebbero essere più diversi, ma al di là delle ovvie differenze di tono, impostazione e target di riferimento sono chiaramente figli della stessa visione, del cinema e (ancor più incredibilmente) del mondo. Come se procedessero in direzioni opposte, ma su un tratto di strada circolare. E alla fine si incontrassero al centro. The Post è un film "del passato" (racconta gli anni e le vicende immediatamente precedenti lo scandalo Watergate) che si inscrive nel presente ponendosi come guida per il futuro; Ready Player One racconta un'idea del futuro, ma insieme la necessità di guardare alle origini per costruirlo ("marcia indietro" è l'indicazione che permette ai protagonisti di superare l'adrenelica prima prova).
E ancora: da una parte un cinema-monumento ai grandi uomini in cui per contrasto Spielberg ritrova "classicamente" se stesso, i ferri del mestiere del bimbo-prodigio che negli anni '70 fece per la prima volta sognare il mondo con Duel e Lo squalo. Dall'altra su carta la massima autoreferenzialità possibile - Ready Player One si nutre in gran parte dell'immaginario degli anni '80, tirannicamente dominati proprio da Spielberg - che invece si traduce in lettera d'amore a un universo immaginifico vastissimo e spesso "altro".
Nelle due ore e venti di questo viaggio supersonico si abbatte infatti sullo spettatore una slavina di citazioni, cameo, intrusioni e riferimenti, finchè la caccia al tesoro diventa quella - impossibile in una sola visione e senza essere insieme nerd e cinefili - alle centinaia di "easter eggs" (se siete perplessi ecco un ottima prova) disseminati in ogni angolo dell'inquadratura.
Il mistero che circonda James Halliday ricorda quello al centro di Quarto potere (1941) di Orson Welles, che ci guidava in un viaggio nel passato e nell'animo tormentato del defunto magnate della stampa Kane. Nella sua figura gigantesca, insieme enigmatica e familiare, Spielberg sussume l'intera cultura pop (cinema, fumetto, videogame) con particolare attenzione al proprio ruolo di creatore di sogni; ma come Welles ha urgenza di riportare l'indagine al "piccolo", all'individuo, all'interiorità. Halliday non è solo un creatore-demiurgo ma un essere umano, come noi e diversamente dagli altri personaggi del film, che acquistano vero spessore via via che si avvicinano a cogliere questa umanità. Infine, ed eccone la misura civile e morale, Ready Player One opera fra le due dimensioni un avvicinamento che ha carattere di vera rivoluzione politica: reale e immaginario, società e individuo, computer e cuore, America e mondo. Ed ecco che incontra The Post. Stessa fiducia incrollabile nel progresso e nella collettività, stesso ottimismo. E naturalmente stesso sguardo.