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Richard Jewell


di Lorenzo Meloni


Pur nella delusione di vedere Richard Jewell fuori dai giochi, prevedibile in luce del clima politico hollywoodiano e del fiasco al box office Usa, il fatto che solo Kathy Bates sia stata candidata all'Oscar per la sua interpretazione della madre del protagonista ha perlomeno l'utilità di evidenziare come centrale un aspetto del film, l'essere genitori, il cui ruolo nel racconto di questa straziante vicenda reale ha radici profonde nella contorta anti-mitologia dell'eroe eastwoodiano.

C'è indubbiamente una linea pedagogica nei film di Eastwood, rintracciabile in rapporti genitore-figlio dove la trasmissione dei migliori valori americani va a braccetto con un'eredità diversa, fatta di quella violenza e solitudine che quasi fatalmente sembrano appartenere al popolo statunitense. Assieme alla chitarra il protagonista di Honkytonk Man (1982) lasciava forse al nipotino una vita di furti e alcolismo, mentre il criminale-padre putativo di Un mondo perfetto (1993) era talmente segnato dalla violenza fatta e subita da non poter più arrestare la sua corsa verso il destino, solcando profondamente l'anima del bambino che in lui aveva ritrovato un padre sul più ampio sfondo storico che non a caso vedeva la vicenda ambientarsi a pochi mesi dall'omicidio JFK.


Nelle prove più ottimiste, che con Eastwood non vuol certo dire meno sofferte, i rapporti si erano significativamente invertiti: in capolavori della maturità come Million Dollar Baby (2004) e Gran Torino (2008) sono proprio i "bambini" - i ragazzi Hmong, la disarmante innocenza della boxer di Hilary Swank - a risvegliare l'eroismo sopito dei burberi co-protagonisti interpretati dal regista, per una sorta di pedagogia inversa che vede nella purezza di certi figli d'America una sorridente ostinazione al bene, più vicina alla matrice ideale di quei valori che per Eastwood concrescono all'individuo prima di guastarsi a contatto col Sistema.


La contraddizione al centro di questo cinema così duramente morale, impietoso nella critica in diretta proporzione al suo patriottismo, è quella fra un'America-madre e maestra che forma i suoi virgulti secondo ideali di assoluto e forse irraggiungibile eroismo (le "Bandiere dei Nostri Padri") e un'America-padre violento, un Saturno che divora i suoi figli contraddicendo ai propri insegnamenti, tanto da far somigliare molti ritratti di eroi eastwoodiani a storie di aborti riusciti o (per fortuna) solo tentati. L'uomo "guasto" in questo senso non è tanto l'adulto ormai acclimatato al cinismo del mondo reale, ma semmai il bambino interrotto, colpito da un male che - incapace di scalfirne fino in fondo la purezza idealistica - è però abbastanza forte da tarparlo e distruggerlo con quella tremenda circolarità del senso di colpa che può provocare il biasimo (o in certi casi il comando insensato e brutale) di un genitore. Pensiamo al Tim Robbins di Mystic River (2005), mai uscito dall'auto dei suoi stupratori e che pure considera se stesso cattivo, o di nuovo al Kevin Costner di Un mondo perfetto, o ancora al devastante crollo psicologico della “Leggenda” Chris Kyle sotto il peso di tutto il sangue versato per il suo ideale in American Sniper (2015).

Anche Richard Jewell è uno di loro, più fortunato del cecchino perchè - come Sully e i ragazzi di Attacco al treno - per l'America non ha dovuto uccidere, ma salvare vite. È un bambino in età adulta, che una miracolosa combinazione di bontà e ingenuità ha in qualche modo preservato e reso inscalfibile. Ma attenzione, solo moralmente. L'interpretazione di Paul Walter Hauser è titanica nel rendere appieno le sfumature emotive di un incubo ad occhi aperti. Prima c'è il gradasso al limite del fanatismo redneck, che come i bambini gioca a fare il vigilante; poi c'è il risentimento a pugni chiusi e viso paonazzo di chi non capisce da dove arrivi questa tremenda "sgridata" mediatica di mamma America, proprio quella a cui vuole bene, che gli ha insegnato a comportarsi. C'è il frignare perché si vorrebbe un biscotto - col tuo avvocato (un perfetto Sam Rockwell) a puntarti il dito contro come una specie di zio buono. E poi, un momento in cui l'infantile ritrova il suo volto più smaccatamente eroico, quando – siamo verso il finale - Jewell finalmente guarda dritto negli occhi l'agente dell'FBI che lo sta interrogando, e davanti a cui aveva sempre chinato il capo. È un momento che Walter Hauser ha preparato per tutto il film, nascondendo sotto uno sguardo fintamente porcino l'unica cosa stupenda del suo viso: due enormi occhi blu che ora stampa in faccia ai suoi accusatori, limpidi e puri come la sua coscienza.



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