di Luigi Ercolani
Domenica 22 ottobre 1978 iniziava il pontificato di Giovanni Paolo II, che sarebbe durato per poco meno di ventisette anni. L'omelia fu memorabile, tanto che ancora oggi l'invito “Non abbiate paura!” è forse la frase che più viene associata alla figura dello stesso Karol Wojtyła, più ancora del “Se mi sbaglio mi corrigerete” che disse presentandosi alla folla che stipava Piazza San Pietro la sera della sua elezione.
Il pontefice polacco un po' per il passato da attore teatrale che lo rendeva particolarmente telegenico, un po' il carisma che emanava la sua personalità, è stato più volte rappresentato cinematograficamente. Il primo lungometraggio e lui dedicato, Da un paese lontano, risale anzi addirittura al 1981, diretto dal suo connazionale Krzysztof Zanussi.
La produzione più nota è tuttavia Giovanni Paolo II, miniserie televisiva diretta dal canadese John Kent Harrison, che vede il sodalizio tra le nostrane Rai Fiction e Lux Vide, la francese Quinta Communication, l'emittente televisiva del paese d'origine del protagonista Telewizja Polska e diversi altri soggetti. Quest'unione di forze permise di mettere insieme un cast internazionale di rilievo, che non avrebbe sfigurato in un qualsiasi film hollywoodiano ad alto budget: Cary Elwes e Jon Voight sono infatti Karol Wojtyla rispettivamente prima e dopo l'elezione, Ben Gazzara è il segretario di stato Agostino Casaroli, Christopher Lee è il primate di Polonia e mentore di Wojtyla Stefan Wyszynski e James Cromwell è l'arcivescovo di Cracovia Adam Sapieha.
L'inizio in medias res introduce Giovanni Paolo II nella sua quotidianità, tra pranzi e incontri, nei suoi cronici ritardi e l'interesse per chi in Vaticano svolge le mansioni meno reclamizzate ma cruciali. Quello prescelto però non è un giorno qualsiasi, ma il 13 maggio 1981, ovvero quello dell'attentato allo stesso pontefice polacco. Lo sparo e la conseguente confusione psicologica di Giovanni Paolo II sono il punto di aggancio per dare il via al flashback, che inizia con il giovane Karol che si dedica al teatro durante l'invasione dei nazisti, e da lì si snoda attraverso le varie vicende del protagonista, fino al conclave che lo elegge papa.
La resa scenica della sua nomina è l'escamotage con cui il regista sceglie di segnare il passaggio dal primo al secondo episodio della miniserie. L'entrata del protagonista nel vestibolo porta un cambio non solo d'abito, ma anche di attore, metafora dei mutamenti tra la vita di Wojtyla prima della chiamata al soglio di Pietro e quella dopo, con tutti gli stravolgimenti di routine e i rivolgimenti d'animo che chiaramente comporta il vedersi affidati il mandato di guidare la Chiesa universale, per giunta alle soglie del nuovo millennio. In tale questa metamorfosi il volto è significativamente non inquadrato, a rappresentare una continuità effettiva del personaggio.
La narrazione della vita di Giovanni Paolo II tocca poi le tappe più importanti: i rapporti con il mondo comunista, gli incontri con i giovani da cui scaturisce la Giornata Mondiale della Gioventù, il crollo del Muro di Berlino, l'incontro con Gorbaciov, lo scoppio della Prima Guerra del Golfo e quella in Jugoslavia che spezzano le speranze di una pace duratura. Il suo progressivo cedimento fisico va di pari passo con le critiche di chi non lo ritiene più idoneo a confrontarsi con i cambiamenti sociali in atto, e la rappresentazione degli ultimi anni di vita offre infine allo spettatore l'idea di un papa che si lascia dietro un mondo profondamente mutato rispetto a quello dell'inizio del suo ministero.