di Lorenzo Meloni
Che l'horror stia attraversando un momento di grazia non è un mistero. Resistente a qualunque tempo atmosferico, come hell or high water, è da sempre (col porno) il più bistrattato dei generi, ma anche uno di quelli che hanno accompagnato il cinema fin dalle origini, iniettandovi il proprio dna visivo e le proprie specificità narrative e cogliendo come forse nessun altro le inquietudini e l'inconscio collettivo delle epoche che ha visto succedersi. Oggi, anche col predominio delle sale sempre più compromesso e tutto lo spazio disponibile in mano a pochi grandi produttori e filoni, l'horror non fa un passo indietro: continua a trovare un pubblico, anzi più pubblici, dimostrando una capacità di evoluzione e stratificazione che è il maggior tributo possibile alla vitalità di un genere. Fra i mille prodotti industriali che si affacciano ogni anno nelle nostre sale, e accanto all' "industria d'autore" di personalità come James Wan o Jason Blum, da qualche anno si assiste al fenomeno dell'emersione di nuovi talenti della regia horror, promettenti, personali, scoperti e foraggiati da produttori avventurosi come A24. Non a caso nella lista dei "20 registi giovani da tenere d'occhio" secondo il premio Oscar Bong Joon-Ho compaiono ben quattro di loro: Jordan Peele (Get Out, Us), Jennifer Kent (Babadook), Ari Aster (Hereditary, Midsommar). E poi il nostro preferito, Robert Eggers. L'americano dalla barba un po' hipster un po' Rasputin (fra i suoi progetti c'è proprio una miniserie biopic sul Monaco Folle dei Romanov), con l'Espressionismo nel sangue e un cuore da studente di antichità. È di questi giorni la tragica notizia che il suo The Lighthouse - la cui uscita era fissata per Aprile - arriverà da noi direttamente in home video, e abbiamo pensato di rimediare con due appuntamenti dedicati ai suoi film. Si comincia oggi con The VVitch (2015), esordio col botto che ispirò a chi scrive una delle sue primissime recensioni. La riportiamo fedelmente perchè - al netto di una padronanza ancora acerba del linguaggio critico - rende appieno l'entusiasmo provato allora, forse ingenuo ma controbilanciato dalla rara certezza di trovarsi di fronte a un classico istantaneo.
The VVitch (a New-England folktale)
Nel New England seicentesco una famiglia di coloni viene esiliata dalla comunità a causa del loro fanatismo religioso; padre, madre e cinque figli vanno a vivere da soli su una piana al limitare della foresta; è una vita dura, confortata solo dalla fede e dall'affetto reciproco, un equilibrio fragile che si incrina quando l'ultimo nato scompare misteriosamente; forse lo hanno preso i lupi, forse è stato rapito; i gemellini Jonas e Mercy parlano di una strega..
L'opera prima del trentaquattrenne Robert Eggers brilla di una luce tutta sua, di una coerenza feroce, quasi inavvicinabile. Il suo filtro a base di sudore e lana grezza, di plenilunio e Pater Noster, è vecchio di secoli come i racconti dei coloni dell'aspra terra di confine in cui è ambientata. Queste "fiabe popolari del New England" parlano di greggi, colture, caseggiati, ultimi avamposti di civiltà e timore di Dio prima che i sentieri si perdano tra i boschi. The VVitch vuole e sa essere una di queste fiabe, ma è anche di più: un horror terrificante, meditazione di statura bergmaniana sulla lotta fra fede e dubbio; poi stordente bellezza figurativa, un autunno impalpabile nelle scene in esterni, in interni calda e densa come l'olio su tela di un naturalista Francese; infine la schiettezza di queste persone in carne ed ossa, così vere da farci sentire come intrusi nelle opere e giorni della loro casupola.
Proprio questa veridicità è il grande punto di forza di un film genuinamente "storico", tutto basato su resoconti d'epoca e ritagli di cronaca raccolti dal regista in anni di ricerca. La ricostruzione d'epoca fotografa con precisione costumi, cerimoniali, persino l'Inglese del diciassettesimo secolo (a tratti incomprensibile anche per i madrelingua); soprattutto riporta in vita la mentalità rigida di questi puritani di frontiera, una mentalità che inizia ad andare stretta ai due adolescenti Thomasin e Caleb (straordinari - come e più del resto del cast - i giovani Anya Taylor-Joy e Harvey Scrimshaw). The VVitch ha la stessa capacità di sublimazione della narrativa popolare; i suoi diavoli sono la fame, la pubertà, la curiosità, il gusto del proibito che fanno cadere le maschere dell'ipocrisia. In una scena straziante Caleb chiede a suo padre del fratellino scomparso: è giusto che per un innocente ci sia l'inferno, se muore al di fuori del Battesimo? Tutto avviene all'ombra della grande foresta, teatro psicanalitico di peccato e scoperta dai Grimm in poi.
Al primo giro di boa, Eggers sposa il gusto selvaggio e ancestrale del racconto di paese con un'erudizione storico-culturale ancor più fanatica e azzecca un fim di genere addirittura fuori dal (suo) tempo, solo superficialmente accostabile alla maggior parte dei moderni horror "stregoneschi". Persino il gusto onirico che affiora spesso, e che permetterebbe paragoni illustri (Le Streghe di Salem? O addirittura le prime sequenze di Suspiria?) non vuole saperne di lasciarsi contestualizzare fino in fondo. Dopo un esordio di questo peso si può solo aspettare con ansia l'opera seconda. Chissà che il genietto non raccolga, "per i viottoli dei campi" e fra le ombre degli alberi, un altro capolavoro.
(28/08/2016)