di Luigi Ercolani
Sarebbe pressoché impossibile esprimere una qualsiasi opinione in merito a The Fabelmans senza fare un passo indietro e partire dalla domanda più semplice da porre e allo stesso tempo a cui è più difficile dare una risposta, ovvero “Che cos'è il cinema?”. Una domanda che è genesi di tutto ciò che ruota attorno all'audiovisivo: star system, grande schermo, dati del box office, diatribe in merito a servizi di streaming, major internazionali et similia ruotano tutti attorno a una questione filosofica che è tutt'altro che di poco conto.
Una possibile risposta alla summenzionata domanda è che il cinema rappresenta la naturale e tecnologicamente ultima evoluzione di un percorso iniziato agli albori della storia dell'essere umano con le storie raccontate attorno al fuoco, storia le cui tappe fondamentali sono le pitture rupestri, il teatro mediorientale, poi quello greco e così via. Nessun progresso nasce dal nulla, anzi, tutto ciò che è passo avanti si innerva in ciò che lo ha preceduto.
Un concetto, questo, che è un po' il filo conduttore di tutta la narrazione del nuovo film di Steven Spielberg. Il quale in The Fabelmans ripercorre la storia che lo ha portato a essere un autore affermato e stimato, a parlare a generazioni diverse di spettatori attraverso temi, storie, personaggi sempre diversi tra loro.
Tuttavia, e qui sta uno dei grandi punti forti di questo lungometraggio, il regista originario dell'Ohio fa bene attenzione a non cadere nell'autoreferenzialità, nella celebrazione egotistica fine a sé stessa. Togliendo il proprio cognome, Spielberg rende questa storia la storia di tutti: di quanti stanno e sono stati dietro la macchina da presa, certamente, ma anche di coloro che attraverso il cinema hanno sognato, hanno pensato e si sono emozionati.
E sempre a proposito di cognomi, è interessante notare come quello attribuito al protagonista, Fabelman, possa etimologicamente significare “Uomo delle favole”, da intendersi tanto come protagonista di una storia, quanto come costruttore di storie. In qualche modo, sembra dire Spielberg agli spettatori, chi sceglie di narrare storie lo fa perché, spesso, è stato lui stesso protagonista di storie, magari fuori dall'ordinario.
Ciò che rende The Fabelmans un film che merita di essere assolutamente visto è proprio questo suo portare alla luce, come farebbe quell'archeologo Indiana Jones che è creatura di Spielberg tanto quanto di George Lucas, ciò che i film hanno rappresentato per ciascuno di noi lungo il nostro percorso di vita. E lo fa, si badi bene, non da un punto di vista razionale, ma emotivo: come sempre lungo la sua carriera lunga oltre mezzo secolo, Spielberg si preoccupa anzitutto di giocare con le emozioni, manipolarle, spremerne il più possibile dal sistema cognitivo di chi guarda.
The Fabelmans, a conti fatti, quindi altro non è che una riflessione su che cosa sia il cinema, sia da parte di chi lo fa che da parte di chi lo fruisce. E di come queste due categorie dialoghino, a volte fino al punto che diventa difficile capire dove si ferma l'opera dell'autore e dove inizia la comprensione dello spettatore.