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Tolo Tolo


di Lorenzo Meloni



Quinto film, quarta partenza-razzo per Checco Zalone. Cabarettista e cantante demenziale, personaggio di intelligenza inversamente proporzionale a quella del suo alter ego Luca Pasquale Medici, è da almeno il 2011 di Che bella giornata che Checco è il golden "boy" del cinema italiano, quello che sbanca il Casinò, quello su cui - quando è in arrivo la sua nuova avventura - gli analisti del settore basano le proprie previsioni di un anno in crescita per la disastrata industria cinematografica italiana. Un fenomeno commerciale in parte imponderabile (come tutti) e in parte perfettamente ascrivibile al talento dell'artista pugliese, creatore della più emblematica maschera della nostra commedia da molti anni a questa parte.

Checco Zalone (gioco di parole sul pugliese "Che Cozzalone" = "Che cafone") è in tutti i film più o meno lo stesso: un prototipo dell'Italiano piccolo e meschino, razzista e misogino, ignorante e profittatore. Il segreto del suo continuo successo, oltre che nell'inventiva delle gag e nel particolare stile recitativo del buon Luca (un campionario di facce da idiota devastante, fra cui svetta quella - suprema - in cui arriccia le labbra mostrando i denti) sta nel suo sforzo continuo per creare veri e propri instant movie, fotografie deformi e dementi che non di meno hanno la capacità di congelare nel tempo momenti salienti del nostro vissuto recente. La capacità di modellare il suo idiot poco savànt per coglierne con millimetrica precisione gli adattamenti al tempo corrente è ciò che ne ha fatto un caso di costume esemplare, oggetto di studi che lo collocano nella tradizione graffiante e sociologica della commedia all'italiana.


Anche Tolo Tolo è un film così: Checco parte per l'Africa con il fisco e lo Stato italiano alle calcagna, dopodiché seguiamo il suo on the road fino al ritorno a casa in un barcone di profughi, Ulisse clandestino ma come al solito senza la minima idea di ciò che gli accade intorno. Stavolta il suo bersaglio è l'Italia salviniana sempre più in odore di razzismo, intolleranza e nostalgie fasciste, e l'Odissea di Checco sembrerebbe ambire soprattutto a farci "mettere nei loro panni", guadagnare un po' d'empatia a chi di recente ne ha avuta poca, restituire umanità a chi è stato ridotto a cifra nei bilanci elettorali. In parte l'obiettivo può dirsi raggiunto - le sferzate a segno non sono poche, e intere sequenze come quella in cui Checco frigna sui suoi problemuzzi mentre i missili del Califfato devastano le capanne intorno a lui raggiungono un grado di paradossalità acida e sgradevole di cui non lo credevamo capace. Merito forse anche dell'ingresso in fase di scrittura di Paolo Virzì - per quanto il Checco-style rimanga un'idea di commedia piuttosto episodica, e sia quindi difficile e forse futile distinguere i singoli apporti del regista livornese in assenza di una struttura narrativa più solida, che li identifichi fuor di dubbio - e di quello alla regia dello stesso Luca che, evidentemente galvanizzato dalle possibilità, imprime a molte gag uno stile più visivo che in passato, affidandosi a piani-sequenza piuttosto articolati e fondali in computer grafica.

Al di là di una tenuta altalenante (al buon ritmo della prima parte non fa purtroppo eco la seconda, e sì che il film dura appena 96') restano i dubbi di sempre sulla piena genuinità di un'operazione che parte certamente da una sincera prospettiva critica, ma non sembra mai voler rinunciare fino in fondo a una troppo comoda ambivalenza nei confronti di un protagonista tanto schifoso quanto irresistibilmente simpatico e relatable. Checco dà costantemente un colpo al cerchio e uno alla botte, con la spiacevole conseguenza di sembrare antirazzista e libertario soltanto a metà, mentre al contempo cerca di non inimicarsi e addirittura di gratificare proprio l'Italia che mette in ridicolo. E anche se in un certo senso la si potrebbe considerare una forma di irrisione terminale (fingo di ridere con te mentre in effetti rido di e contro te), ugualmente le manca il vero coraggio della grande commedia politica. Se - per fare un esempio - a una sequenza di chiaro e forte impegno come l'affondamento del barcone segue quella in cui Checco fa un tuffo a bomba dalla nave dei soccorsi, con annesso sunbathing e partita di pallone a bordo, l'effetto non può che essere duplice: da una parte la messa alla berlina dell'Italiano mostro, sempre e comunque alieno al dolore altrui. Dall'altra (eppure sappiamo benissimo che lui non la pensa così), l'impressione che su quelle "fabbriche di vedove" il viaggio sia davvero, come qualcuno dice, una pacchia.



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