Ricordata al punto di prendersi una menzione in un discorso elettorale di Obama (nel 2014). Talmente iconica da meritarsi addirittura un piccolo museo a Brooklyn, il "Nancy Kerrigan and Tonya Harding Museum", i cui fondatori la considerano "la storia più americana mai raccontata". La vita della pattinatrice Tonya Harding, dall'infanzia nel profondo sud al professionismo fino all'aggressione occorsa alla connazionale Kerrigan alla vigilia dei giochi olimpici invernali 1994, diventa in questo energico biopic pretesto per la disamina di un'intera stagione politica, morale e mediatica degli Stati Uniti d'America.
Finora la Harding aveva collezionato un film-inchiesta per la tv nel '94, un musical andato in scena a Portland (con repliche a Los Angeles, New York e Chicago), due citazioni in serie televisive e uno stuolo di riferimenti nel mondo della musica, da Loudon Waiwright a Sufjan Stevens a Lil Wayne. Ma nessun film. Strano, per chi ha una biografia che è già sceneggiatura: ci sono una madre vedova nera che - mentre cambia mariti come camicie - ne programma scientificamente il successo sportivo a forza di allenamenti massacranti e violenze. Uno stile da rockstar che fece epoca, inimicandole i giudici di gara mentre sfrecciava come una furia su basi heavy-metal. Un marito ottuso e manesco, un talento che ha spesso finito per passare inosservato. E tutto prima dell'incidente.
Non si può dire che Tonya brilli per sottigliezza. Ma forse è un bene. La sceneggiatura di Steven Rogers, come altre (anche ottime) degli ultimi tempi, si spiega un po' troppo, ha paura dei sottintesi, batte e ribatte il ferro finchè è caldo; gli va però dato atto che sa mantenerlo caldo con la pura energia, quello che in inglese si chiama "raw power" - come un album degli Stooges il cui leader Iggy Pop, dissoluto padrino del punk, figura in colonna sonora coverizzato da Siouxsee, se possibile ancora più vicina al ribellismo glamour di Tonya.
La buona solidità di scrittura getta per Craig Gillespie (Lars e una ragazza tutta sua, Fright Night) le fondamenta di una regia scattante, derivativa (Scorsese in primis) ma efficace. Le finte interviste, le carrellate, la continua rottura della quarta parete, una colonna sonora da hit parade, l'uso classico del montaggio alternato. Gillespie non inventa niente, ma non sbaglia quasi niente. Dove Tonya riserva le maggiori sorprese è nel reparto attori. Margot Robbie, anche produttrice, si dà anima e corpo al proprio ruolo e si imbruttisce in lodevole gara con il volto infinitamente più cinematografico della vera Harding. L'incredibile Allison Janey, qui nei panni della madre LaVona, ha descritto questo ruolo come "il più difficile della mia carriera". Se qualcosa rimarrà, è la sua interpretazione.
Proprio il personaggio di LaVona è il vero centro del film. Nel sadismo con cui tormenta sua figlia sulla strada verso il successo, dietro gli spessi occhiali e lo sguardo sornione, brucia il fuoco della rivalsa sociale. È lei a imporre alla figlia l'immagine greve, stracciona, proletaria che sarà la sua bandiera nel mondo dei lustrini e dei sorrisi bugiardi. Quando Tonya si definisce orgogliosamente "una persona vera" è anche LaVona a parlare. Con la sua ignoranza (le mai nascoste origini contadine), la sua violenza in pista e fuori, ma anche il suo candore, Tonya è la meteora che illumina a giorno l'America rurale depressa e infernale nascosta fra le pieghe dell'era Reagan-Bush.
La sua "legacy" sarebbe quindi la verità, nel bene e nel male. Ma la "vera" Tonya sembra perduta per sempre in una dicotomia che non conosce sfumature fra eroe e mostro. J'accuse contro il circo mediatico ma anche caricatura grottesca del ruolo ambiguo dell'America nella scacchiera del mondo ("Tonya è l'America" ci viene detto fin dall'inizio). Non a caso ricorre il tema dello spionaggio e della sorveglianza, con il personaggio del paranoico redneck Shawn magistralmente interpretato da Paul Hauser, che in questo contesto di polarizzazione non può non evocare lo spettro della guerra fredda appena terminata e il suo mondo diviso in blocchi. Ultimo ma non meno importante, isolato grido di allerta sulla Hollywood di oggi e la possibilità di madornali errori di giudizio. È anche così che, se ce ne fosse bisogno, Tonya rafforza la sua attualità.