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Transformers-Il risveglio

di Luigi Ercolani



Partiamo (in quarta, si potrebbe umoristicamente aggiungere) illustrando i difetti, che ci sono e fanno bella mostra di sé. Agli occhi di uno spettatore che abbia sensibilità, percezione di sé e del prossimo e temperanza, il nuovo lungometraggio dedicato ai robot-automobili è un inno alla retorica, per la precisione la tipica retorica statunitense che magari fa colpo sulla maggioranza del pubblico a stelle e strisce ma che, invece, lascia abbastanza tiepidi, quando non proprio imbarazzati, i fruitori appartenenti ad altre culture.

A parte questo, comunque una parte del tutto marginale del film, Transformers-Il risveglio è un film che fa quello che i film dovrebbero fare: racconta una storia. Magari non eccessivamente complicata, in alcuni tratti persino banale, in altri confusionaria, ma comunque con una trama che mantiene un filo logico e possiede il giusto mix di azione e decompressione, e che dunque non stanca il lettore né con una verbosità eccessiva e ridondante, né con un'ipertrofia dei sensi che finisce per essere uno stroboscopio psichedelico senza costrutto.

D'altronde, quello della trama semplice, talvolta infarcita di cliché e resa pimpante artificialmente tramite abbondante utilizzo di colpi di scena ed effetti speciali è uno dei pilastri del blockbuster cinematografico. Il quale è forse la forma culturale più divisiva (utilizziamo questo aggettivo che va per la maggiore) tra fruitori di media: benvoluto e detestato, il film ad alto budget di stampo hollywoodiano crea una spaccatura tra gli amanti dei film, tra chi ama l'intrattenimento e la spettacolarità e chi, invece, esige una trattazione maggiormente approfondita rispetto alla basica dialettica “buoni contro cattivi”.

E Transformers-Il risveglio non si preoccupa di fare il blockbuster, anzi, per certi versi sulla sua stessa natura ci gioca pure. All'interno del film, infatti, sono presenti numerose citazioni di altri film appartenenti a tale macro-genere: come nella ricetta di una cucina multiculturale c'è una porzione degli Indiana Jones, c'è una porzione dei Fast&Furious, c'è una porzione del Signore degli Anelli e c'è, preponderante soprattutto nell'inevitabile battaglia finalei, una consistente porzione del primo Avengers (2012, Joss Whedon). Mancherebbero all'appello solo gli Star Wars e gli Harry Potter, ma mentre questi ultimi sono onestamente fuori contesto, la saga della “Galassia Lontana Lontana” per certi versi è già stata citata nel terzo capitolo.

A tal proposito, lo spettatore più preparato sicuramente si sarà chiesto: “E Micheal Bay? C'è qualcosa che richiami l'eredità dei suoi film sui Transformers?”. Sì, chiaramente la caratterizzazione dei robot risente in maniera marcata dell'influsso del regista losangelino, anche se qui è non poco attenuato quel gusto per le esplosioni che è diventato proverbiale quando si parla di lui.

Fisiologico, trattandosi in fondo di un sequel ambientato negli anni Novanta, che da una parte non poteva riprendere in toto l'ambientazione di quelli prodotti prima ma cronologicamente successivi, e dall'altra, magari, c'era la legittima ambizione di provare a far camminare da soli gli Autobot, staccandosi dalla mano del loro padre cinematografico. Pur con diverse difficoltà, ma la missione può dirsi compiuta.

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