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Una notte a New York

Luigi Ercolani

Sostiene l'analista geopolitico Dario Fabbri che il turismo e il viaggio sono due concetti che si declinano in maniera strutturalmente diversa. Nel primo, per entrare nello specifico, si rimane in contesti non solo protetti, ma anche simili al proprio luogo di provenienza, e dunque si torna identici a come si era al momento della partenza.

Nel secondo, invece, a prevalere è l'esplorazione, ed entrando in contatto con l'alterità, fisiologicamente, cambia anche il nostro animo una volta che l'esperienza è terminata e si è fatto ritorno alla quotidianità. Tale differenza Fabbri la applica soprattutto ai soggiorni all'estero, ma in determinati contesti potrebbe risultare adatta anche quando si rimane entro i propri confini nazionali.

La volutamente anonima protagonista di Una notte a New York, in questo senso, torna a casa dal viaggio appena compiuto per certi versi uguale a prima, soprattutto, percepisce lo spettatore, a livello caratteriale. Alcune delle sue precedenti certezze, tuttavia, sono state decisamente messe in discussione.

Ciò è accaduto in prima battuta nel natio Oklahoma, dove l'incontro con la sorella ha incrinato alcuni ricordi che la ragazza manteneva sin dall'infanzia. A costituire un pungolo per lei è però soprattutto un incontro avvenuto a New York, ossia la città dove la stessa protagonista ha deciso di stabilirsi.

Ed ecco che qui emerge il noto, la quotidianità, l'abitudine, quale grimaldello per operare un cambiamento radicale nelle vite delle persone. Parrebbe incredibile, eppure è assolutamente plausibile che ciò possa accadere se si abbandona la propria bolla e si entra in contatto con qualcuno che sì condivide il nostro stesso spazio fisico, ma allo stesso tempo ne frequenta uno sociale totalmente differente.

È così che risulta possibile rientrare tra le mura domestiche diversi rispetto alla partenza, ma con un mutamento generato soprattutto nell'ultimo tratto del viaggio. Nella fattispecie, a risultare fruttifera è l'interrelazione tra questa giovane che fa un mestiere, la programmatrice, che la pone in una categoria rampante, da piani alti, e un attempato tassista che invece, per la natura della sua professione, è obbligato a rimanere con i piedi (e le gomme) per terra.

L'interscambio tra due persone appartenenti a realtà così diverse, pur vivendo nella stessa città, permette ad entrambi di affrontare questioni dirimenti della propria vita da diversi punti di vista. È soprattutto la giovane, tuttavia, a beneficiare di queste sinergie, ottenendo un feedback da qualcuno che ha vissuto, dall'altra parte della barricata, la medesima situazione personale in cui ora si trova lei.

Nell'epoca che decanta la strong indipendent woman (archetipo che la ragazza inizialmente rappresenta) e deplora il manplaining, Una notte a New York supera questi annosi personalismi e mette due individui l'uno accanto all'altro, a confrontare le rispettive fragilità. Ma, soprattutto, nell'epoca che esalta acriticamente il giovane e permea di obsolescenza il vecchio, è rincuorante vedere un film in cui l'esperienza di chi ha una certa età non venga vista come un pesante fardello di cui liberarsi, ma come un'opportunità per apprendere determinate dinamiche che prima non si vedevano o non si volevano vedere.

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