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Vita da gatto

di Luigi Ercolani


I social network, come ogni strumento frutto dell'ingegno umano, hanno lati positivi e negativi. Tra i primi, per fare un esempio, c'è il merito di far circolare citazioni di varie personalità pubbliche che molte meno persone conoscerebbero, perdendo dunque lo stimolo per una possibile riflessione in merito ad un determinato tema.

Una delle frasi relativa ai gatti in cui più frequentemente ci si imbatte è quella di Robertson Davies. Lo scrittore canadese, autore di romanzi e rappresentazioni teatrali, ebbe infatti a dire: “Dio creò il gatto perché l'uomo potesse avere il piacere di coccolare la tigre”.

Un assunto che sembra paradossale, ma che del gatto coglie in pieno il carattere, e potremmo persino arrivare a dire lo spirito (absit iniuria verbis). Perché il gatto, malgrado si sia comunemente abituati a concepirlo come un animale domestico, esattamente come la tigre ha un istinto forte, fiero e largamente indomabile.

Chiaramente da specie a specie ci sono variazioni, che riguardano tanto l'aspetto quanto il carattere. Il tratto comune, tuttavia, resta appunto questa impossibilità dell'essere umano di ingabbiarlo (fisicamente o metaforicamente) in schemi che il gatto categoricamente rifiuti.

In questo senso, il film Vita da gatto coglie perfettamente lo spirito dell'animale in questione. Nonostante gli esemplari presenti nel lungometraggio siano creati digitalmente, infatti, la rappresentazione del gatto, della sua curiosità, del suo movimento continuo, del suo istinto di cacciatore, è estremamente realistica.

Chi ha o ha convissuto con un gatto si ritrova nella medesima condizione di perenne apprensione in cui versa per tutta la durata della pellicola la piccola Clémence dopo che all'inizio ha deciso di adottare la gattina Rroû. Ma un gatto non lo adotti, anzi, semmai è lui che adotta te e ti offre la gentile concessione della sua compagnia in cambio di un cibo ed un tetto, se ha voglia.

Una dinamica che lo spettatore rivive o di cui prende presto coscienza scena dopo scena in questo film, anche grazie alle molte soggettive realistiche che si soffermano sul felino, autentico protagonista della storia. Ma se la resa della micia è ineccepibile, anche grazie all'alta qualità della computer grafica grazie alla quale quasi non si nota la differenza con un gatto vero, altrettanto non si può dire per quella dei personaggi umani.

Sì, perché occorre sottolineare che in questo lungometraggio le persone sono purtroppo rese in maniera superficiale, talvolta al limite del macchiettismo. Né Clémence, né i suoi genitori, né la vicina Madeleine ricevono infatti un adeguato approfondimento psicologico, venendo invece trattati sostanzialmente per luoghi comuni e per svolte narrative che risultano ampiamente prevedibili.

Un peccato, perché sarebbe stato opportuno dar loro uno spessore differente, più marcato, al fine di rendere il rapporto con il gatto più interessante, e più simile a quanto accade in realtà. L'interazione uomo-felino, viceversa, in questo film è purtroppo sbilanciata dalla parte di quest'ultimo, e ciò non crea mai una parvenza di verosimiglianza di quello che, nel concreto, è un rapporto a volte conflittuale, ma sempre proficuo. Un'occasione persa, dunque, per offrire un quadro realistico di una relazione che è, in fondo, millenaria.

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