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Vivere, che Rischio

di Lorenzo Meloni

È perfettamente comprensibile che una figura come Cesare Maltoni (1930-2001) possa mandare in crisi da sovraccarico il biografo. Il materiale su cui lavorare è tanto, le narrazioni possibili infinite, l'idea di un bivio e quindi a malincuore di una selezione sembrerebbe inevitabile. Invece no: nell'ora e venti scarsa di questo documentario Michele Mellara e Alessandro Rossi hanno stipato tutto, preoccupati che limitarsi alla cronaca dei contributi di Maltoni alla cancerologia - argomento già vastissimo, dalle aule e laboratori alla lotta quotidiana per la prevenzione di cui è stato fra i principali ispiratori - potesse bruciare la preziosa occasione di esplorare le contraddizioni di un'epoca della storia italiana e mondiale, e consci insieme della necessità di un ritratto carismatico che non esitasse ad arricchirsi di dubbi, inadeguatezze, angoli bui.

"Che parole difficili" medita il grande professore riportato in vita dalla finzione narrativa, elencando la terminologia scientifica che gli ha permesso di sbalordire i colleghi di tutto il mondo con le sue scoperte, ma che al momento di renderle operative, quando serve presentarle ai media, alla politica, ai cinici industriali dell'amianto e del benzene, alla gente comune di un mondo meno connesso e vibratile, gli tarpano le ali. Molte donne ai tempi dei primi pap test di massa eseguiti dal suo staff chiamano confuse la sua segretaria: come funziona? Devo già avere i sintomi per eccedere al test? L'idea che "prevenire è meglio che curare" ancora non ha fatto breccia nel grande pubblico. Alla loro insicurezza Maltoni e i suoi oppongono una richiesta di fiducia. Siamo qui per voi, per aiutarvi. A un certo punto un collega ricorda che in certe conferenze i suoi grafici erano scritti così in piccolo da essere illeggibili, tanto i dati non importavano. Bastava sapere che lui li aveva.

Un simile candore chiede Vivere, che Rischio agli spettatori molto più smaliziati di oggi. Chiede loro di guardare da lontano, di accettare il grafico senza preoccuparsi dei dati; l'intento, difficile e lodevole, sarebbe come abbiamo detto fornire il quadro completo sulle mille diramazioni di un'esistenza decisiva: c'è il Maltoni accademico geniale, promessa mantenuta di una disciplina che è guerra al nemico numero uno dei paesi industrializzati ("l'operaio siderurgico americano conosce due italiani, Cristoforo Colombo e Cesare Maltoni"); c'è una dimensione davvero globale, tipica dello scienziato ma particolarmente precognitrice nel suo caso, dagli studi iniziati a Bologna e terminati fra Chicago e Parigi, al suo ruolo di stella polare per una "comunità" scientifica che grazie a lui lo fu molto di più; c'è la già citata lotta mediatica e politica per rendere "di tutti" i suoi studi facendone una sorta di metastasi benigna del corpo sociale, lui che non fu estraneo in niente ai fermenti anche ideologici degli anni '60 e '70. C'è l'affascinante contrasto fra successo e senso di solitudine, camaraderie fra colleghi e disagio relazionale, lo slancio umanitario e un sognare più aristocratico all'ombra dei cipressi e nei castelli emiliani.

Ma se va certamente a merito degli autori anche solo l'aver saputo enunciare questa gigantesca complessità, altrettanto grande è il rischio di ridurre un mondo al suo planisfero, di cogliere scorrendo in fretta le pagine appena i nomi dei capitoli di un grande saggio/romanzo/profilo psicologico. Una superficialità non certo gratuita ma spesso inconcludente, a volte perfino inelegante, come quando si chiama in causa Pier Paolo Pasolini - o meglio lo shock che la notizia del suo assassinio provocò nel professore - al solo scopo di rafforzare con un corollario di troppo facile retorica uno sbrigativo accenno alla vita amorosa sofferta e appartata di Maltoni. Si arriva in fondo con assolutamente niente di intentato, ma anche con poco di davvero a fuoco, in una zona grigia fra celebrazione e introspezione, pubblico e privato, pretese di autonarrazione senza filtri ("sarà la storia della mia vita secondo me" dice l'incipit) e frammentazione del discorso secondo il consueto modello delle interviste ai colleghi e degli scambi epistolari, che rischia di togliere al film, per assenza accanto alla bontà delle motivazioni e alla scioltezza nel racconto di una chiave di lettura più forte, quel carattere che così evidentemente non mancò mai al suo protagonista.

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